di Camilla Caron e Martina Mazzeo
Non è andato deserto un’altra volta. Il 14 luglio 1979, tre giorni dopo l’omicidio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, Milano non si è presentata ai funerali del commissario liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona. Il “salvatore della lira”, così ribattezzato da Giulio Andreotti, lo stesso vicino a Cosa nostra. Mercoledì 19 marzo 2014 però la sua città – cittadini, studenti, uomini delle istituzioni, famigliari di altre vittime – si è riunita intorno a lui, alla moglie Anna Lori, ai figli Filippo e Umberto, alla figlia Francesca.
Una targa in sua memoria è stata riaffissa in via Morozzo della Rocca 1, dove l’avvocato è stato freddato in una notte d’estate, a distanza di anni dalla rimozione della prima per lavori di ristrutturazione dello stabile. Se per molto tempo “la sua assenza non è stata vissuta dal quartiere come una ferita” – marca Nando dalla Chiesa – la deposizione, voluta dal Comune, sembra proprio l’ennesimo segnale di interessamento e impegno delle istituzioni milanesi nei confronti della criminalità organizzata “come realtà che sempre più attraversa e colpisce la nostra società”. Pierfrancesco Majorino , rappresentante del Comune alla manifestazione, ricorda gli impegni della giunta e del consiglio: l’applicazione della normativa antiriciclaggio 231/2007, l’approvazione di un piano anticorruzione, la destinazione di più di 300 beni confiscati su un totale di 708 nella sola Milano.
Verso la XIX Giornata della Memoria e dell’Impegno. Il momento più commovente della mattinata è stata senz’altro la lettura dei nomi delle accertate vittime innocenti di mafia. 900 nomi . Muratori, professionisti, contadini, magistrati, uomini delle forze dell’ordine. Dalla fine dell’800 a oggi. Volti noti e meno noti che hanno segnato quella parte di storia d’Italia che è tesoro di memoria da custodire, interrogare, riscattare.
Ma non ci sono solo le vittime di mafia, come don Peppe Diana di cui proprio il 19 marzo è ricorso il ventesimo anniversario della morte. Ci sono anche quelle del terrorismo. Lo sa bene chi il pomeriggio di mercoledì ha partecipato alla Prima Giornata sulla Giustizia in memoria di Guido Galli, organizzata dall’Università Statale di Milano presso il Piccolo Teatro Studio Melato. Guido Galli è stato un magistrato e docente universitario proprio presso l’ateneo milanese dove è stato ucciso da Prima Linea il 19 marzo 1980. A ricordarlo nella sala dedicata a Mariangela Melato sono intervenuti, tra gli altri, Giancarlo Caselli, che contemporaneamente a Galli indagava sul terrorismo rosso, e Maurizio Romanelli, attuale Procuratore Aggiunto presso il Tribunale di Milano. Caselli lo presenta al pubblico come un agente efficiente di giustizia, un magistrato rivoluzionario che ha ridato un volto credibile allo Stato, pronto a morire per il suo dovere. Racconta i duri anni della lotta al terrorismo, della nascita e dello sviluppo della tecnica di specializzazione degli operatori dei corpi di polizia prima ma anche del forte isolazionismo, del pantano giuridico provocato da soluzioni artigianali spesso insufficienti, delle numerose incomprensioni e dei difficili ostacoli che lotte radicali trascinano inevitabilmente con sé. Romanelli ha sottolineato il valore della legalità che Galli ha sempre posto come uno degli obiettivi del suo insegnamento, la sua curiosità intellettuale, il rispetto delle regole ma soprattutto delle persone, la sua non ordinaria capacità di ascolto; qualità rare, soprattutto oggi. Ha chiuso Gianluca Vago, Rettore dell’Università Statale di Milano, consegnando una tessera onoraria dell’Università degli Studi di Milano alla moglie di Galli, in ricordo non solo della sua dedizione a praticare ed amministrare la giustizia, ma anche della perseveranza a insegnarla e trasmetterla alle generazioni di studenti che hanno sempre affollato i banchi delle sue aule.
L’anticipo di primavera milanese si è concluso in serata con la quarta edizione della Meglio gioventù, tenutasi presso la sede di Scienze Politiche Economiche e Sociali; si tratta di una rassegna dove vengono presentate le migliori tesi del precedente anno accademico del corso di Sociologia della Criminalità organizzata del Professore Nando dalla Chiesa. Tesi pensate che si sviluppano e vengono scoperte durante la loro realizzazione, che maturano e fanno maturare. E in aula ad ascoltarle sono intervenute presenze significative per il contrasto culturale e istituzionale alla mafia: Marco Granelli, Assessore alla Sicurezza e coesione sociale del comune di Milano, Pierfrancesco Majorino, Assessore alle Politiche sociali con delega ai beni confiscati del comune di Milano, David Gentili, Presidente della Commissione antimafia di Milano, e Gian Antonio Girelli, presidente della Commissione Consiliare Speciale Antimafia della Regione Lombardia. Gli onori di casa li fa Marco Giuliani, direttore del Dipartimento di Scienze sociali e politiche, figurando l’iniziativa come il perfetto esempio di terza missione dell’università, che oltre a fornire didattica e ricerca, dovrebbe attivare la voglia degli studenti di sapere, di analizzare e capire, spronare la loro coscienza civica e fare da ponte tra università e società civile. Nonostante certe autorevoli firme del giornalismo italiano sostengano che fare convegni sulla mafia sia tempo perso, a differenza dell’efficacia garantita dell’azione repressiva, è un segnale e una smentita vedere un’aula gremita per sentire i frutti del lavoro di decine di studenti: tesi che variano tra loro, passando dai narcos messicani alle organizzazioni mafiose in Basilicata, dall’antimafia amministrativa milanese allo sguardo sull’espansione internazionale del crimine organizzato e la relativa reazione dei paesi dentro e fuori l’Europa. Come afferma Granelli, è un sapere che serve a tutti, un contributo alla società. In una città che si appresta ad ospitare l’EXPO 2015, iniziative come queste sottolineano il senso civico della meglio gioventù, che ricerca le cose trasparenti, che “si impegna al senso del dovere, al senso di giustizia, a non adeguarsi al malcostume corrente, a non chiedere per favore ciò che ci è dovuto per diritto, a resistere alle sopraffazioni mafiose, a non dimenticare tutti i morti contro la mafia, a ricordarli come familiari caduti per loro, a difendere il loro onore con la forza dell’esempio”. Ed è proprio l’esempio che deve essere segnalato da questa esperienza: molti studenti porteranno le loro tesi in giro per l’Italia, all’interno di convegni e conferenze, altri verranno interpellati dalle stesse istituzioni presenti alla serata, perché non deve essere solo il trauma sociale l’unico levatore di diritto; c’è bisogno di una normativa ma soprattutto di una reazione collettiva non solo emergenziale, ma costante e solida. In questo scenario le tesi presentate possono diventare un contributo alla lotta per la giustizia, anche grazie a una maggiore collaborazione tra i diversi atenei e tra università e istituzioni politiche come le commissioni antimafia.