di Ester Castano e Giuseppe Muti
Presentato il nuovo rapporto ‘Amministratori sotto tiro’ di Avviso Pubblico. Nel 2019 le minacce sono state 559, una ogni 15 ore. Coinvolte tutte le regioni, da nord a sud dello Stivale, 83 province e 336 Comuni.
Nel 2019 ogni settimana undici tra sindaci, assessori o consiglieri comunali hanno subito minacce o intimidazioni. Per la precisione 559 avvertimenti, uno ogni 15 ore. È quanto emerge dal rapporto di Avviso pubblico sugli atti intimidatori contro gli amministratori locali presentato lunedì 22 giugno. La relazione approfondisce la tipologia dei soggetti minacciati, le modalità di intimidazione, le minacce specifiche contro le donne nonché le violenze di matrice diversa dalla criminalità organizzata e fotografa tutte le situazioni regionali, analizzando quelle più critiche.
Per la seconda volta nella storia del Rapporto, giunto alla nona edizione, sono stati censiti atti intimidatori in tutte le regioni d’Italia. Tutte sono toccate dal fenomeno, anche se alcune più di altre. Per il terzo anno consecutivo la Campania registra il maggior numero di intimidazioni a livello nazionale, con 92 casi censiti. Segue la Puglia con 71, terzo posto per la Sicilia con 66. Si conferma sui livelli dell’anno precedente la Calabria, con 53 casi. Quinto posto per la prima regione al di fuori del Mezzogiorno: 46 gli atti intimidatori registrati in Lombardia, un nuovo ‘record’ per le regioni del Centro-Nord Italia.
Sono 83 le province interessate – oltre il 75% del territorio nazionale – e 336 i comuni colpiti: il dato più alto mai registrato. Ascoltando la presentazione su Youtube alcune parole echeggiano: “Mettere in conto l’intimidazione”. In certe aree, come quelle a maggior presenza criminale; in certi periodi, come quelli elettorali; se si svolgono determinate funzioni pubbliche, come quella di sindaco. Come è possibile mettere in conto l’intimidazione nell’esercizio delle funzioni amministrative in una democrazia? Non è chiaro. Ma sulla necessità di farlo conviene malinconicamente anche Vittorio Martone, PhD in Sociologia e Ricerca sociale, nel contributo sul caso del Lazio: qui sono 36 le intimidazioni censite nel 2019, dato pressoché identico a quello dell’anno precedente. La provincia di Roma da sola raccoglie 2/3 dei casi registrati nell’intera regione e si issa fino al secondo posto su scala nazionale (era terza nel 2018). Prima è Napoli con 41 casi, seppur in calo del 13% rispetto al 2018.
Il giorno seguente, il 23 giugno, la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha presieduto l’Osservatorio contro gli atti intimidatori nei confronti degli amministratori locali e ha presentato l’omonimo Rapporto a cura questa volta del Viminale: le minacce verificate nel 2019 sono quasi tredici a settimana, concentrate in Sicilia, Lombardia e Puglia. Dal 2013 Avviso Pubblico e l’Osservatorio atti intimidatori offrono un quadro fondamentale sulla delicata questione perché fonti e metodi differenti producono risultati congruenti: quello dell’amministratore locale è un ruolo fondamentale e rischioso.
Alcuni esiti dei due rapporti sembrano incoerenti, ma forse non lo sono: il 53% dei casi del rapporto ministeriale è di matrice ignota e solo il 7 per cento è criminale. Nel 2018 il rapporto ministeriale ha il suo minimo storico di intimidazioni mentre il rapporto di Avviso pubblico ha il suo massimo storico. La chiave di lettura la offre Federica Cabras, dottoranda in Studi sulla criminalità organizzata presso l’Università degli Studi di Milano, nel suo contributo sul rapporto di Avviso Pubblico. La denuncia dell’intimidazione, soprattutto di matrice mafiosa, è un atto di ribellione e coraggio non scontato. In questo senso le statistiche illustrano anche, o forse soprattutto, lo sforzo di denuncia e di autotutela di chi ha subito la violenza intimidatoria. E il calo delle denunce istituzionali del 2018 può essere il termometro di un calo di fiducia nelle istituzioni, più che una loro vittoria contro la violenza e l’intimidazione.