Un’intervista a Nando dalla Chiesa per capire le ragioni dell’articolo “Benvenuti al circo dell’antimafia” e fare chiarezza su alcuni aspetti, specie quelli che hanno provocato i maggiori “scossoni”.
Perché ha scritto questo articolo?
Per un senso di responsabilità. Sapevo che ci sarebbero stati scossoni ma non è possibile stare a osservare questo degrado del movimento antimafia nel suo insieme, queste ambiguità, senza dire niente. Voglio troppo bene al movimento antimafia, so quanto è costato costruirlo perché si possa rovinarlo in questo modo. Non ci era mai capitato di vedere dei nostri esponenti indicati come eroi dell’antimafia arrestati dalla magistratura. Non ci era mai capitato di vedere un killer che dava lezioni di antimafia. Questi sono dei rovesciamenti assoluti. Qualcuno doveva trovare il coraggio di parlarne, ma prima di oggi. Semmai, mi do questa colpa: di non averlo fatto prima.
Vede un nuovo atteggiamento nel movimento antimafia, parla di mitologie, di retoriche, di icone e simboli costruiti che diventano indiscutibili. La lotta contro la mafia non è mai stata così popolata ma nemmeno così sprovveduta “di un accettabile alfabeto culturale”, scrive. Perché? E’ forse diventata una moda l’antimafia?
Si è capito che c’è un pubblico creato dal movimento antimafia serio che è molto più ampio di una volta e che è a disposizione di chi voglia presentargli delle merci contraffatte. Come dire: c’è un sacco di gente che chiede prodotti di una marca, io ti faccio i prodotti di quella marca. Con questo tipo di pubblico, così ampio, bisogna riuscire a stabilire un rapporto più profondo di quanto non sia consentito dallo stare sul web. È chiaro che sulla rete c’è il rischio che circolino le “truffe” maggiori. In passato, ci sono stati momenti in cui l’antimafia per certi aspetti ha premiato, ma sono stati momenti molto brevi e che sono costati tanto perché poi l’hanno sempre fatta pagare. Adesso, per esempio, la nostra consapevolezza che non vadano lasciate sole le persone quando vengono minacciate viene ereditata da altri in modo più superficiale e diventa la grande riserva da sfruttare quando occorre costruire le icone e i miti sulla falsariga del ‘non bisogna lasciarli soli’, ‘siamo tutti questo o quello’. Ma i contesti sono abissalmente lontani e anche le persone. Molti in questo periodo mi hanno detto: ‘allora aveva ragione Sciascia coi professionisti dell’antimafia’. La differenza sostanziale però è che il bersaglio di Sciascia era Borsellino, era l’unico indicato nella sua polemica. Non è che fosse di moda, è che finalmente aveva prevalso un criterio di valutazione professionale in terra di Sicilia. Chi mettiamo alla testa di una procura nella Sicilia infestata dalla mafia? Uno che la sappia combattere. Questo era il ragionamento. Questo era il ragionamento che non veniva accettato. È come dire: chi scegliamo per guidare un ospedale? Uno bravo. Ma quello di cui parliamo ora è molto diverso… magari fossero i professionisti dell’antimafia. Il movimento, che soprattutto nel nord si sta allargando, si sta popolando di persone inesperte, a volte purtroppo ai limiti della millanteria. Non è perciò un problema di professionismo, per tornare a Sciascia; professionismo che io invece ora rivendico. Bisogna continuare a studiare per dotarsi degli strumenti di contrasto migliori. C’è bisogno di gente che sappia capire, gente capace di leggere, di stare dentro le situazioni, di decifrarle prima di agire; non di persone che, seppur anche in buona fede, siano pronte a emozionarsi per i falsi eroi, e nemmeno di persone che pensino di avere scoperto loro la lotta alla mafia.
Infatti l’articolo apparso sabato sul Fatto Quotidiano ha l’aria di essere un monito, un invito a cambiare, più che un attacco frontale…
Sì, un monito. Occorre capire che con queste cose non si scherza e non si può essere superficiali nella lotta alla mafia. Il vero antimafioso non cerca, non si compiace dell’applauso; costringe invece a interrogativi difficili, mette i dubbi, pone i problemi a tutti. A cosa serve radunare pubblici di mille studenti che applaudono senza sentire, senza entrare in profondità nella discussione? È un problema che pongo da anni, quello della consapevolezza e della profondità.
Non vede un pericolo spaccature, dentro Libera o tra Libera e altri gruppi?
Infatti avevo messo in conto un rischio di incomprensioni e spaccature. Quando c’è stata la polemica con Sciascia ventisei anni fa avevamo contro tutti, altro che il web. Ma come ho già detto: mi rimprovero di non averne scritto prima. E poi c’è un dato indicativo. Ho ricevuto riscontri di condivisione da diverse parti, anche da figure, singole o collettive, che sono spesso in polemica con Libera ma che operano seriamente nel movimento antimafia da anni, avendo attraversato i momenti più drammatici e controversi del nostro passato; in questi messaggi, ad esempio quello inviatomi dal Centro Impastato, mi si dice ‘concordo riga per riga’. Secondo me questo è significativo. Evidentemente chi ha senso di questa storia non può tollerare oltre una situazione come quella attuale.
Alcune associazioni antimafia si sono risentite per il suo articolo…
Si pongano il problema e si facciano un esame di coscienza. Possiamo permetterci di far fare a un killer lezione di antimafia? Dovremmo chiedercelo tutti. E comunque ci tengo a specificare una cosa: ineffabile non è un insulto. Ineffabile vuol dire ‘che non si possono definire’, in altri termini significa che io non le voglio definire. Quindi chi e come avrei offeso? Se alcune associazioni o gruppi si sentono messi alla berlina per quello che fanno, vuol dire che si rendono conto anche loro dell’assurdità di certe scelte. Io ho lanciato un allarme.
Qualcuno poi si sta interrogando sulle conseguenze di questo articolo. Anche questo era uno scossone prevedibile…
Sì, ma sono testardo nell’esercitare le armi della conoscenza e della logica. Io non posso dire che le ultime dichiarazioni di Bonaventura sono false; semplicemente e soggettivamente, io non ci credo. Siamo in una democrazia in cui si può non credere in Dio. Perché dovrei credere in Bonaventura? E pongo questa domanda: un collaboratore di giustizia che chiede più protezione si lascerebbe avvicinare da cinque uomini di un clan? Con la fitta storia che conosciamo di amici e compari portati ad un appuntamento di riappacificazione per ammazzarli… E mi chiedo anche perché le ultime dichiarazioni non sono state fatte ai magistrati ma a un quotidiano telematico.
Inoltre, quello che racconta di Giulio Cavalli è assolutamente anomalo. La mafia, se fa un omicidio simbolico nei confronti di una persona che non ha notizie riservate ma racconta quello che già si sa, non simula un incidente stradale, fa un omicidio eclatante.
Le viene contestato di sconfessare lo strumento ‘collaboratore’ e su questo tema la polemica sta montando…
Questa è la conferma che siamo davanti a gente che non sa nulla. Ho passato anni a difendere lo strumento del collaboratore e sono stato accusato per questo di giustizialismo e antigarantismo. Faccio studiare in università testi e interviste a collaboratori di giustizia e la mia casa editrice ha appena pubblicato il racconto di un collaboratore di giustizia. Il problema sta nella credibilità di quello che raccontano. Falcone che introdusse nella storia della lotta alla mafia le confessioni di un pentito, come Buscetta, incriminò all’istante un “pentito” come Giuseppe Pellegriti perché gli stava raccontando il falso. E’ chiara la differenza?