Relatori d’eccezione alla presentazione di “Senza Padrini”, il libro in cui Filippo Astone racconta la “primavera siciliana”: un moto di riscossa economica e civile degli imprenditori isolani che, guidati dal presidente regionale di Confindustria Ivan Lo Bello, si ribellano al pizzo.
E il nord?

“Resistere alle mafie fa guadagnare”. Questo il messaggio-sottotitolo di “Senza Padrini”, il libro in cui Filippo Astone racconta come oggi, in Sicilia, ribellarsi al pizzo sia economicamente conveniente prima ancora che moralmente e civicamente doveroso.

Un messaggio che, dalla sala della Casa della Cultura di Milano, delinea in modo chiaro – anche se non molto “romantico” – l’orizzonte verso cui puntare per indebolire e sconfiggere le organizzazioni mafiose. Un orizzonte immediatamente tangibile in grado, contemporaneamente, di ridare respiro all’imprenditoria sana e di innescare la ripresa virtuosa dell’economia nazionale. Un orizzonte che, secondo Astone, “conviene a tutti” raggiungere.

Resistere alle mafie e al pizzo – dunque – perché fa guadagnare. Impedendo che nel 2014 le mafie si mangino “40 punti del nostro PIL”, come sostiene il Sindaco Pisapia. Innescando quella che il Presidente di Confindustria Siciliana Ivan Lo Bello descrive come collaborazione virtuosa e fruttifera tra “componenti dello Stato – in primis la magistratura – e del mondo economico, storicamente assente nella parabola dell’Italia unitaria” e che può portare a epocali cambiamenti strutturali. Sollevando una volta per tutte quella cappa che opprime “mercati oligopolistici” in cui l’appoggio di mafia e politica vale più dell’innovazione tecnologica, determinando “la lievitazione della spesa pubblica, lo sperpero clientelare dei fondi UE e la diffusione del racket”, come tuona il Procuratore Generale della Corte d’Appello di Caltanissetta Roberto Scarpinato nel suo appassionato e applauditissimo intervento.

Ripartire dall’economia e da una sana imprenditoria, quindi, per sconfiggere le mafie. Del resto “La mafia non è un dato consolidato nella cultura del mezzogiorno – sottolinea Lo Bello – : è il prodotto di condizioni sociali ed economiche che al sud hanno avuto come elemento forte e unificante un modello economico di crescita basato sull’assistenzialismo clientelare della spesa pubblica”. Un circolo vizioso da invertire ad ogni costo – e che in parte, dagli anni ’90 in poi, si è già invertito – attraverso una seria regolazione dei mercati e fondando la crescita imprenditoriale sugli investimenti in ricerca e tecnologia, sempre più importanti per reggere la “crescente  concorrenza internazionale”.

L’idea che la mafia sia composta da un manipolo di miserabili violenti e malvagi, aggiunge Scarpinato, rappresenta il “deleterio stereotipo con il quale i media hanno portato avanti una vera e propria opera di depistaggio culturale”. Esiste una “mafia dei colletti bianchi e delle classi dirigenti” fatta di “imprenditori e borghesi” che utilizzano la violenza per conquistare posizioni di mercato favorevoli, concedendo alla “mafia militare di estorcere e predare liberamente il territorio”.

Questo discorso vale anche al nord, dove “la mancanza di resistenza e di anticorpi ha permesso alle mafie di integrarsi nell’economia del territorio, tanto che oggi si parla di un nuovo modello di capitalismo misto legale-non legale. Tutto questo perché la mafia offre una serie di beni e servizi molto allettanti per l’imprenditoria di oggi. Servizi che hanno come unico denominatore comune l’incremento dei profitti tramite l’abbassamento dei  costi. Capitali liquidi con cui fare fronte alle difficoltà economiche, esecuzione di opere pubbliche subappaltate a cifre che arrivano fino al 30% in meno del prezzo minimo di mercato, smaltimento di rifiuti speciali che consente un risparmio del 50% e fornitura di false fatture per chi pratica diffusamente l’evasione fiscale”.

Al nord, insomma, “il metodo produttivo mafioso sta diventando un’innovazione tecnologica nel processo produttivo  che consente di aumentare i profitti e diminuire i costi”, conclude Scarpinato.

E’ dunque fondamentale che l’imprenditoria settentrionale reagisca – aggiunge il professor Nando Dalla Chiesa – prendendo a modello la decisione di Confindustria Siciliana di espellere dall’associazione chi paga il pizzo e dotandosi di quegli strumenti, di quella consapevolezza e di quella responsabilità che trasformino il tessuto economico settentrionale da un “panetto di burro in cui la lama della ‘ndrangheta entra con facilità, a una muraglia impenetrabile”. Fortunatamente, anche al nord, qualcosa si sta muovendo in questa direzione.

Alberto Meomartini, presidente di Assolombarda, lo rivendica con orgoglio quando ricorda come la sua associazione sia l’unica tra le articolazioni di Confindustria al nord ad aver fatto propria la proposta di Confindustria siciliana. “Oltre ad espellere chi paga il pizzo – aggiunge Meomartini – è però fondamentale creare canali per evitare che le nostre ricorrano all’usura, canali che indichino a chi rivolgersi per denunciare le estorsioni e l’illegalità”.

I segnali, dunque, ci sono, anche se il fatto che, ad oggi, Assolombarda non abbia ancora registrato “imprese associate in condizioni di ricatto,condizionamento o collusione” con i poteri mafiosi lascia qualche perplessità. Soprattutto se si considera che – come sottolinea il Sindaco Pisapia nell’intervento che conclude l’incontro – “secondo un rapporto della DIA, a Milano 1 negoziante su 5 paga il pizzo”.

Rincuora, però, la neo acquisita consapevolezza da parte del sindaco e dell’attuale giunta comunale riguardo alle presenze mafiose a Milano e al nord: un bel passo avanti rispetto alla titubanza dell’ex sindaco Letizia Moratti che “più che di infiltrazioni mafiose” parlava di “infiltrazioni della criminalità organizzata” e del Prefetto di Milano Gian Valerio Lombardi, che, convocato dalla commissione parlamentare antimafia nel 2010, ebbe a dire che “a Milano e in Lombardia la mafia non esiste. Sono presenti singole famiglie”.

Una consapevolezza a cui dovranno però fare seguito interventi e iniziative concrete, che Pisapia, anche in vista dell’EXPO 2015 di cui egli sarà commissario straordinario, individua nella fine della pratica delle gare d’appalto al massimo ribasso, “che oggi hanno visto un’impresa aggiudicarsi un appalto al 47% in meno del prezzo minimo di mercato” e nella costituzione di una “commissione comunale antimafia che sia realmente efficace”.

La partita, insomma, è appena cominciata.

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