di Beatrice Botticini Bianchi
BASTA! Belgian Antimafia: Steps Towards Awareness è un’associazione antimafia che opera sul territorio belga dal 2013. Abbiamo incontrato a Bruxelles la presidente Marcella Militello, la quale ci ha gentilmente concesso la seguente intervista per spiegare come lavora l’associazione e qual è la situazione in Belgio per quanto riguarda il fenomeno mafioso.
Com’è nata l’associazione BASTA! Belgian Antimafia: Steps Towards Awareness! ?
Nasce nel 2013, inizialmente come presidio di Libera a Bruxelles. Nei vari Paesi europei esistevano diversi presidi di Libera, con i quali organizzammo una serie di incontri per condividere informazioni e metodi di lavoro. A Berlino esisteva Mafia Nein Danke, un’associazione locale: ci sembrò un modello ideale e decidemmo quindi di costituire associazioni locali per agire direttamente sulle istituzioni dei vari Paesi. Successivamente, sempre con il supporto di Libera, creammo la rete CHANCE – civil hub against organized crime in Europe, un network di associazioni antimafia europee che operano a livello transnazionale. L’acronimo BASTA! è nato ufficialmente solo nel 2019.
Quindi lavorate sia localmente come singole associazioni, sia in rete a livello europeo?
Esatto, agiamo come singola associazione in Belgio, mentre come rete proviamo ad agire a livello istituzionale europeo, a promuovere progetti che abbiano un respiro comunitario. Ogni associazione lavora nella propria nazione per sensibilizzare la società e promuovere leggi; se questo compito non riesce a livello locale, si lavora per promuoverlo a livello europeo, sostenuti dagli altri membri della rete.
Come BASTA! di cosa vi occupate precisamente?
Il focus è sul territorio belga. Studiamo fenomeni mafiosi e di criminalità organizzata di tipo serio in Belgio, e sensibilizziamo la società civile su questi temi. Cerchiamo anche di creare ponti con e tra la magistratura, la polizia federale e i giornalisti: ci siamo resi conto che tutte queste realtà che lottano contro le associazioni criminali agivano individualmente, e soffrivano di questa solitudine.
Avete riscontrato difficoltà all’inizio del vostro percorso associativo?
Un problema comune anche alle altre associazioni antimafia europee era la ristretta partecipazione agli eventi, il pubblico era composto solo da italiani espatriati già sensibili al tema. Non è stato semplice nemmeno instaurare un dialogo con le istituzioni locali: essendo BASTA! un’associazione nuova, c’era diffidenza, non erano abituati a confrontarsi con associazioni antimafia. Poi si sono resi conto che eravamo una realtà affidabile; nelle nostre conferenze non si voleva accusare lo Stato, bensì sollevare un dibattito riguardo problemi che non avevano sufficiente rilevanza a livello mediatico. Ora vi è un bel rapporto di confronto, le istituzioni sono contente di trovarsi a dialogare nelle nostre tavole rotonde.
Quali sono i principali canali di azione in quanto associazione locale?
Innanzitutto, vogliamo sensibilizzare la società civile belga. Per questo promuoviamo annualmente due grandi eventi: il primo è il 21 marzo, giornata in memoria delle vittime innocenti di mafia. In Italia è giornata nazionale, viene letta la lista con i nomi delle vittime. Qui la riadattiamo: raccontiamo vicende accadute in Belgio, per far capire che la mafia non è un fenomeno distante, né tantomeno legato a una cultura. L’altra giornata importante è il 9 dicembre, l’International Anti-Corruption Day, giornata stabilita dalle Nazioni Unite: ogni anno organizziamo dibattiti specifici su mafia e corruzione in Belgio. Inoltre promuoviamo il riutilizzo sociale dei beni confiscati, che manca in Belgio. Qui esiste una legge sulla confisca dei beni, ma a differenza dell’Italia, questi spesso vengono poi rivenduti all’asta: le organizzazioni criminali se li possono ricomprare. Stiamo lavorando per sensibilizzare la pubblica amministrazione, il mondo politico, la magistratura, affinché sposino questa causa importante.
Quali sono invece i progetti che promuovete a livello di rete europea antimafia?
Insieme con la rete CHANCE e Libera partecipiamo a molti progetti europei. Ad esempio, prendemmo parte a Liberaidee, una ricerca sociale sulla presenza e percezione delle mafie promossa da Libera e coordinata da un comitato scientifico di professori e ricercatori universitari. In Belgio procedemmo con un’analisi qualitativa per comprendere quale fosse il livello di conoscenza del fenomeno mafioso da parte di magistrati, capi polizia, ricercatori, attivisti, giornalisti.
Vi era un buon livello di conoscenza o si sottovalutava il fenomeno mafioso?
Inizialmente, il livello di attenzione era basso, le organizzazioni criminali mafiose venivano considerate piccole bande che si fanno la guerra. Ora le cose stanno cambiando. Nell’ultimo nostro incontro, il direttore generale della polizia federale ci ha confermato che c’è stato un cambio di ottica: ha ordinato di fare una mappatura perché si è reso conto che non sono bande, che c’è una rete più grossa. Ci sono stati diversi blitz che hanno dato duri colpi al traffico di droga e di armi. Dalle inchieste si è capito come le diverse organizzazioni criminali internazionali collaborino per trafficare droga qui in Belgio e in Europa, si comportano come delle vere e proprie multinazionali. A livello di conoscenza, qui siamo indietro di almeno 20 anni rispetto all’Italia, si è iniziato a parlare da poco tempo di mafia, i media se ne occupano poco. La mafia è un problema serio ed è un problema belga, questo non è stato ancora capito.
Quindi la gravità del fenomeno non viene percepita nemmeno dalla società civile belga? O hai invece notato un aumento di interesse nel corso degli anni?
C’è stato un miglioramento. Come BASTA! abbiamo un gruppo di persone che segue assiduamente i nostri eventi, sono maggiormente italiani ma anche sempre più belgi. Quando organizziamo le giornate del 21 marzo e 9 dicembre abbiamo una partecipazione di persone più estesa, ma la percezione del fenomeno mafioso rimane in generale molto bassa. Il problema è che viene osservato a frazioni, si inseguono gli scandali e manca una visione d’insieme. Dietro a problemi quali il traffico di droga o lo sfruttamento della prostituzione, ci sono organizzazioni criminali di tipo mafioso: non sono piccole bande, sono gruppi strutturati, con potere di controllo sul territorio e capacità di intimidazione, sopravvivono grazie all’omertà e alla corruzione. Hanno tutte le caratteristiche delle mafie “tradizionali” italiane.
A proposito di Italia, prima hai detto che BASTA! cerca di far capire in Belgio che la mafia non è un fenomeno legato a una cultura. C’è quindi la tendenza ad associare l’idea di organizzazione mafiosa solo alla cultura italiana?
Sì, manca il quadro d’insieme sul fenomeno. Se poi si vuole parlare solo di mafie italiane, è chiaro che queste non sono più solo in Italia, sono ovunque, e quindi qui non possono relegare la cura del problema solo all’Italia. Noi siamo la generazione Erasmus, siamo cittadini del mondo, perché non dovrebbero esserlo le mafie? Nel momento in cui si trovano in Belgio, è un problema belga. Bisogna certamente collaborare con gli organi di polizia e la magistratura italiana per imparare da loro, è necessario collaborare. Ma nel momento in cui operano in un territorio internazionale europeo, è un problema europeo, non solo italiano. Un problema che deve essere studiato, approfondito e trattato a livello sia locale che transnazionale.
Per quanto riguarda l’educazione, nelle scuole in Belgio si parla di criminalità organizzata?
In generale no. Noi abbiamo collaborato con studenti universitari e con scuole europee, ma in generale non se ne parla. Non è un problema sentito, non rientra nei programmi scolastici. In Italia si parla sempre più di mafia anche nelle scuole, nei giornali, in tv; ci sono tante associazioni antimafia e presidi di Libera. Ci sono stati e ci sono tanti modelli positivi di lotta alla mafia. Qui invece si pensa che la società civile sia immune, che le persone che perdono la vita un po’ se la siano andata a cercare, o comunque svolgono professioni rischiose. Da quando noi volontari ci siamo riuniti per la prima volta nel 2013, di passi in avanti ne sono stati fatti. Si è iniziato a parlarne, c’è una migliore coordinazione tra addetti ai lavori, chi si occupa del fenomeno inizia a essere preso più sul serio. Noi continuiamo a fare la nostra parte.