di Marco Pessina
Da giovane giornalista quale sono, mi sarebbe piaciuto trovarmi a raccontare gli eventi organizzati nei giorni passati nel meratese – il territorio della Brianza a metà strada tra Lecco e Milano – in memoria del giudice Paolo Borsellino, in occasione del 25° anniversario della strage di via d’Amelio in cui perse la vita insieme ai cinque agenti di scorta Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina. Invece, ad eccezione di un singolo caso nulla è stato offerto alla cittadinanza. Dalle colline di Montevecchia al traghetto di Leonardo da Vinci a Imbersago; da Lomagna che sempre più guarda all’hinterland di Milano fin su alla piccola Airuno da meno di 3 mila abitanti, che vanta 4 immobili confiscati alla mafia, tutti destinati. Vale la pena sottolineare l’assenza di proposte culturali per il 19 luglio, memori del fatto che anche per il 23 maggio – in ricorrenza cioè della strage di Capaci – i momenti di condivisione pubblica sono stati altrettanto carenti. Eppure ci sono anniversari che, anche per convenzione, assumono un carattere maggiormente rilevante. Il quarto di secolo è uno di questi. Sarebbe stato opportuno soffermarsi e valutare cosa sia cambiato in questi 25 anni sia sul fronte della mafia sia sul suo contrasto e mantenere viva l’attenzione sul mistero dell’agenda rossa di Borsellino scomparsa dal luogo dell’attentato e sul processo ancora in corso che indaga sulla trattativa Stato-Mafia. Non può essere sufficiente che uno studente o un qualsiasi cittadino conosca Falcone e Borsellino solo per l’appellativo di “giudici antimafia”. La superficie deve essere scavata a fondo per comprendere perché sono stati uccisi nel 1992 e con quali risvolti sociali e politici. La lezione che i due magistrati siciliani ci hanno consegnato non è invecchiata e non è fuori luogo. Non solo nel quartiere Zen di Palermo, ma anche in una Brianza dove gli interessi della ‘ndrangheta sono stati ripetutamente conclamati dai processi giudiziari. Un territorio come quello meratese – brulicante di iniziative culturali – se ne è dimenticato. Con questo articolo l’augurio è che si sollevi una discussione interna agli enti che avrebbero potuto misurarsi su queste tematiche per non lasciare orfani in futuro i cittadini di momenti di riflessione. Potrebbero altresì trovare il coraggio di esporsi aprendo un dibattito pubblico.
Come anticipato, un’iniziativa rivolta alla cittadinanza è stata organizzata. È stata proposta presso il circolo La Lo.Co. di Osnago domenica scorsa, 16 luglio, dal Gruppo Antimafia Osnago. Il GAO è composto da giovani volontari accumunati dall’aver partecipato in annate diverse ai campi antimafia dell’Arci e dall’aver conseguentemente deciso di affiancare il Comitato provinciale Arci Lecco nei progetti di sensibilizzazione alla legalità. La serata è cominciata alle 18.30 con delle letture sceniche riferite a Paolo Borsellino in particolare. È seguita poi la presentazione del libro “Qui la mafia non esiste” di Giuliano Benincasa. Il giovane ricercatore dell’Università di Bologna ha preso in mano gli atti dei processi dagli anni Sessanta ad oggi per individuare meticolosamente e scientificamente l’evoluzione di Mafia Capitale. In occasione dei 25 anni dalle stragi di Capaci e via d’Amelio, è stato posto un accento sulla modernità e la lungimiranza del “metodo Falcone” e sulle caratteristiche endemiche di questa organizzazione criminale rispetto alle quattro mafie più conosciute in Italia. La passione con cui l’autore ha esposto le proprie tesi ha coinvolto il pubblico che ha riempito il cortile del circolo. Numeri comunque ridotti se confrontati a quelli di un auditorium o di un cineteatro pieni. C’è un ultimo elemento su questo evento che merita di essere evidenziato. Il moderatore della presentazione del libro (che ha fornito i contatti di Giuliano Benincasa e che è accorso apposta da Bologna dove studia) e una delle due attrici (del milanese) hanno partecipato ai campi antimafia di Arci Lecco, rispettivamente nel 2013 e nel 2014. Considerando che tra il pubblico erano presenti altri ex “campisti” e che anche i componenti del GAO lo sono stati, se ne deduce che i progetti di sensibilizzazione a queste tematiche riescono a produrre dei buoni frutti. I campi di Lecco sono organizzati grazie a una rete di collaborazioni con Libera, CGIL, SPI, Consolida, Auser, Alma Faber, Coop Lombardia e il Comune di Lecco. La caratteristica principale è che i ragazzi vengono stimolati attraverso un laboratorio teatrale in cui si sviluppano le formule del Teatro Forum e del Teatro dell’Oppresso. Laboratorio che si conclude l’ultima sera con uno spettacolo. Non mancano poi i momenti informativi con le testimonianze di forze dell’ordine, magistrati, giornalisti, sindacalisti e i parenti di vittime di mafia.
Facciamo un passo in avanti. L’assenza quasi totale di eventi legati al 19 luglio è stato uno spunto per indagare cosa è stato proposto ai cittadini negli ultimi dodici mesi sui temi più generali di mafie e legalità. Anche in questo caso è emersa una palese lacuna. Al lettore curioso potrebbe sorgere una domanda molto semplice, ma fondamentale. Per quale ragione si è abdicato dimostrando uno scarso impegno? Domanda che è stata ostinatamente posta alla quasi totalità dei soggetti che promuovono la cultura nel meratese, ovvero le associazioni, le amministrazioni comunali, le Commissioni consultive, le giovanili di partito e gli Istituti scolastici. L’aspetto positivo in questa vicenda è che perlomeno nel 2017 non sono emersi dei blocchi ideologici di colore politico. Giusto per fare memoria, senza correre troppo indietro nel tempo – nel 2010 per la precisione – due classi organizzarono una visita di istruzione autogestita in Calabria e in Sicilia con lo scopo di conoscere da vicino le realtà che svolgono attività antimafia, ampliando il proprio bagaglio di conoscenze. Molto probabilmente fu la prima esperienza di questo tipo nell’intero territorio provinciale lecchese. Venne richiesto all’amministrazione comunale un contributo di 1.250 euro per sostenere le spese del trasporto. Venne sostenuto dalla Giunta che fosse sottesa una non meglio precisata “connotazione ideologica” all’iniziativa e la quota non fu versata. Erano gli inizi del 2010 e ancora bisognava attendere qualche mese perché la storica operazione Crimine-Infinito, che portò a oltre 300 arresti tra la Lombardia e la Calabria, fosse agli onori della cronaca. L’anno successivo l’atteggiamento del Comune fu diverso. Oggi le motivazioni vanno ricercate altrove. Dalla viva voce delle persone contattate si ricevono delle risposte quasi identiche: «Abbiamo scarse risorse umane ed economiche». Oppure: «Abbiamo affrontato altre tematiche. Le proposte sono tante». Qualcuno ha riconosciuto che la scelta sia ricaduta in base alla previsione dell’affluenza del pubblico alle iniziative. «Non ci sono stati i tempi, metteremo un post su facebook» per alcuni. Ma cosa garantisce una pubblicazione su un social network? Non certo il sapere, ma quella che Nando dalla Chiesa nel libro “Manifesto dell’Antimafia” definisce “solidarietà elettronica su commissione”. La maggior parte ha però confessato che l’idea di realizzare iniziative sulle mafie non sia proprio stata proposta: «Non è un tema che è emerso, non l’abbiamo affrontato. Non ne abbiamo discusso». Non è stata solo una rinuncia su una scala di priorità ma, forse ancor più grave, un’apatica e inerte indifferenza. Grave perché, come ripeteva Paolo Borsellino, la mafia è territorio, è consenso. Lo spunto di riflessione più interessante e sincero è arrivato dal regista di una compagnia teatrale secondo cui uno spettacolo non può che nascere dal desiderio personale, da un furore artistico. Ecco, forse la società in generale non possiede ancora l’ardore necessario su queste tematiche. Nemmeno quegli enti, istituzionali e non, che ne costituiscono l’emblema. Il quadro tuttavia non è esclusivamente negativo. Negli anni passati non sono mancati appuntamenti singoli, o cicli di conferenze sulla legalità. Associazioni quali La Semina, CambiaMenti e l’Arci “La Lo.Co.” anche con il GAO hanno prodotto diverse iniziative. Discorso a parte merita Bang, che non ha disatteso le aspettative neppure nel 2017. Insistere su queste tematiche non significa ripetersi. Le mafie si intersecano in ogni settore economico, sociale e politico, e hanno la capacità di evolversi individuando target differenti e appetibili.
Anche i format con cui si propongono le riflessioni potrebbero alternarsi alle classiche conferenze. Alcuni Comuni in difesa hanno sostenuto di aver patrocinato e/o presenziato al Progetto Legalità sviluppato da Bang, quest’anno o in altri passati. Le amministrazioni locali però non sono vettori di iniziative autonome e istituzionali sul tema delle mafie. Organizzano, investono risorse e coordinano rassegne e festival nei più disparati àmbiti culturali, ricreativi e ludici. Ma non riescono a convogliare le energie delle associazioni o essere loro di esempio e stimolo attraverso proposte antimafia. Manca cioè un impegno deciso e costante degli enti locali per lanciare messaggi chiari su questo fronte. La lotta alle mafie è costituita anche di simboli. Le iniziative scolastiche e il calendario di eventi di Bang, l’associazione conosciuta sul territorio prevalentemente per il Progetto Legalità, sono comunque positivamente appoggiati e in alcuni casi pure sostenuti economicamente. Grazie a Bang e alla Nazionale Italiana Magistrati sono arrivati in Brianza numerosi professionisti che hanno offerto delle analisi approfondite e preziose. Si sforza di fare rete con le associazioni e con tutte le amministrazioni comunali indipendentemente dal colore politico. Nel 2017 hanno portato il giornalista Sandro Ruotolo, i magistrati Giuseppe Borrelli e Giovanni Melillo e in una successiva serata Nando dalla Chiesa e l’ex magistrato Gian Carlo Caselli. A marzo ha ottenuto un ampio riscontro l’appuntamento su Mani Pulite. Bang si impegna anche a sostenere quelle realtà che fanno dell’antimafia un impegno serio. Provvederà per esempio a premiare nel prossimo anno accademico con due borse di studio da 500 euro le tesi di laurea sulla criminalità organizzata prodotte alla Statale di Milano sulla base di requisiti di merito. Almeno uno dei due elaborati dovrà concentrarsi sui fenomeni mafiosi in Lombardia.
Infine gli Istituti scolastici. Nel 2016/2017 qualche progetto sulla legalità è stato sviluppato alla primaria di Olgiate Molgora, tra incontri, murales e giochi della gioventù. I casi più virtuosi sono però il liceo Agnesi e il Viganò, che hanno aderito insieme ad altri quindici istituti del lecchese al Centro di Promozione della Legalità, finanziato con fondi regionali. Nelle classi di Merate sono stati quindi sostenuti dei progetti portati da Arci Lecco, in collaborazione con Antisopore: l’associazione padernese con inclinazione teatrale, musicale e sociale. Nell’anno scolastico appena trascorso è stato organizzato un corso di formazione per docenti e dei laboratori in aula rivolti agli alunni. Sempre grazie al contributo del CPL sono riusciti a svolgere dei viaggi di istruzione nel palermitano e corleonese. Oltre alle iniziative interne, lo scorso ottobre le due scuole in coordinamento hanno organizzato la presentazione di “Per questo mi chiamo Giovanni”, un libro di Luigi Garlando che avvicina anche i più piccoli alla figura di Falcone. Pure per il prossimo ottobre è in programma un’iniziativa aperta al pubblico presso l’auditorium di Merate sul tema “donne e mafia”. Sarà presente tra gli altri la cantautrice Sara Velardo e il giudice del tribunale di Reggio Calabria Natina Pratticò.
Si riparta da qui e da chi ha ammesso che si sarebbe potuto e dovuto fare di più, da chi ha promesso una maggiore attenzione nel prossimo futuro.
*versione modificata dell’articolo pubblicato su www.merateonline.it