Sabato 13 settembre – esattamente 32 anni dopo l’approvazione della legge n.646 sulla confisca dei beni alle organizzazioni criminali, la cosiddetta legge “Rognoni- La Torre” – è stata l’occasione per il Coordinamento provinciale di Libera Como di presentare la situazione dei beni confiscati sul territorio, con l’aiuto di Giuseppe Giuffrida, responsabile di Libera in Lombardia per i beni confiscati.
Stando ai dati dell’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati, la Lombardia è quarta per numero di beni confiscati, dietro le tre regioni a tradizionale presenza mafiosa: Sicilia, Campania e Calabria. Di questi, ben 67 sono quelli situati in provincia di Como: tra i beni immobili, il 40% sono locali, 37% sono abitazioni, 16% terreni, 5% fabbricati e il 2% sono capannoni. Per quanto riguarda la manutenzione, il 23% è in buono stato, mentre del 40% di essi non è stato possibile rilevarne lo stato. Giuffrida nel suo intervento ha spiegato che, sempre per quanto riguarda la regione, ben il 56% dei beni confiscati resta in mano ai comuni o alle amministrazioni, mentre associazioni e cooperative sociali ne utilizzano rispettivamente solo il 18% ed il 17%.
È la ‘ndrangheta che ha subito maggiori confische grazie alla legge “Rognoni-La Torre”: il 46% dei beni confiscati in Lombardia è riconducibile a quest’associazione, confermando la sua forte presenza nella regione. A membri di Cosa Nostra appartenevano il 14% dei beni ma il dato rilevante è che del 24% dei beni confiscati non è stato possibile ricondurli a nessuna organizzazione mafiosa. Durante l’incontro è stato inoltre spiegato che il clan più attivo nella provincia di Como è la cosca Gallace-Novella, operante anche a Lecco, dove però è predominante la ‘ndrina di Coco Trovato, storico boss del territorio. I reati alla base delle condanne e delle confische alle organizzazioni mafiose sono vari, e vanno dal traffico di stupefacenti, al riciclaggio, ai reati violenti e alla condanna stessa per associazione mafiosa.
Il coordinamento provinciale di Como, in questi mesi, ha fatto una ricerca sul campo per verificare le condizioni in cui versano i beni e per mapparli. Gli obiettivi erano, oltre a quelli già citati, conoscere le storie di questi beni per comprendere nel modo migliore possibile come agiscono le organizzazioni mafiose nella provincia, e per capire quali siano stati i motivi del mancato riutilizzo. Nell’ambito di questa ricerca sono stati contattati i comuni della provincia ai quali questi beni sono stati destinati; poi sono stati proposti dei questionari alle amministrazioni che rispondevano positivamente ed infine sono state incontrate le realtà che gestiscono i beni confiscati.
Una problematica che è emersa nella ricerca, sebbene in misura molto minore rispetto ad altre province sia lombarde che italiane, è la presenza di una ipoteca sul bene. Questa tematica è stata toccata dallo stesso Giuffrida nel suo intervento: se infatti la banca che ha concesso il mutuo alla persona condannata riesce a provare la sua “buona fede” nell’erogazione di esso, risulta praticamente impossibile l’utilizzo per fini sociali del bene confiscato. A fronte di questo problema, lo stesso Giuffrida ha lanciato la proposta di disancorare il bene dal credito, qualora la banca provi la sua “buona fede” nella concessione del mutuo. Ciò permetterebbe al bene di non essere più la “garanzia” pregressa del pagamento, con il diritto di credito che diverrebbe a quel punto garantito dal valore economico contenuto, per quota parte, dal Fondo Unico Giustizia.
Come sostiene Giuffrida, la lotta alla mafia ha diverse sfaccettature, diverse dimensioni, che non si limitano a quella meramente giudiziaria, e dunque solo relativamente alle condanne. Importante è anche l’aspetto economico, in quanto si assiste alla restituzione al territorio e all’economia legale di aziende, terreni o immobili che venivano usati in maniera illecita, ad esempio per il riciclaggio di denaro. La confisca crea infatti occasioni per nuove attività produttive e quindi per l’occupazione. Ma vi sono altre due dimensioni da tenere in mente quando si affronta la tematica dei beni sottratti alla criminalità organizzata: la dimensione politica, in quanto si restituisce fiducia alla popolazione, la stessa che era stata vessata dai boss per anni prima della sua condanna; e quella sociale e culturale, dando alla popolazione stessa una prova tangibile della volontà dello Stato di colpire la mafia, e che essa non è invincibile o al riparo delle leggi.
Falcone disse che “se le istituzioni continuano nella loro politica di miopia nei confronti della mafia, temo che la loro assoluta mancanza di prestigio nelle terre in cui prospera la criminalità organizzata non farà che favorire sempre di più Cosa Nostra”. E sono proprio queste dimensioni che la legge “Rognoni-La Torre” consente di colpire, le quali vanno nell’ottica auspicata dal magistrato palermitano. Di certo l’azione contro la mafia non si può limitare a questo, come dimostrano le diverse campagne di Libera “Riparte il futuro”, “Miseria ladra” che mirano a contrastare la corruzione e a promuovere la giustizia sociale.