L’ottobre sarajevese è il tempo della shisha e del thè caldo, quello dell’autunno inoltrato con le sue foglie appassite adagiate sui ponti della grigia Miljacka, è il tempo del Bajram con i canti vibranti dei suoi muizin in festa, del melograno e del suo strano succo che lungo la Ferhadjia i cordiali venditori invitano i passanti ad assaggiarlo, ma è anche il tempo delle elezioni politiche e presidenziali che domani 12 ottobre inviteranno tutti i bosniaci alle urne. (I cittadini voteranno per il rinnovo della presidenza, della camera dei rappresentanti nazionale e federale, per il Parlamento della Republika Srprska, per il presidente e il vicepresidente della RS e per i parlamentari dei 10 cantoni della Federazione)
La campagna elettorale, iniziata a settembre, ha visto concorrere per le più alte cariche politiche volti vecchi e nuovi, molti dei quali però protagonisti di storie di corruzione e criminalità organizzata. A suscitare l’interesse dei giornali e dei media locali è Farhudin Randončić, attuale ministro della Sicurezza e proprietario del quotidiano più letto in tutta la Bosnia il Dveni Avaz, candidato ora per la carica di membro bosgnacco della presidenza con il suo partico SBBBiH (Alleanza per un futuro migliore per la BiH) e con lo slogan “Uno tsunami di giustizia e di forte sviluppo” che a un cittadino avvezzo alla sua conoscenza potrebbe provocare un ironico sorriso.
Radončić è sospettato di aver avuto frequenti rapporti con noti membri della criminalità organizzata bosniaca e in particolare con Naser Keljmendi, uno dei più pericolosi narcotrafficanti di tutti i Balcani, oggi in carcere in Kosovo con l’accusa di omicidio e traffico di droga e in attesa di un processo che inizierà a breve. Il candidato bosniaco, nelle 49 pagine dell’atto d’accusa stilato dai giudici del Prosecution Office of the Republic of Kosovo (SPRK) nei confronti di Keljmendi, viene descritto quale personaggio chiave per le innumerevoli attività illecite realizzate dal boss. Molti sono stati infatti gli scambi di denaro, di auto e di appezzamenti di terra tra i due personaggi più in vista di tutta la capitale. Ed inoltre, secondo l’accusa, Radončić avrebbe avuto un ruolo importante nell’omicidio di Ramiz Delacić Čelo, eroe di guerra e uno dei più importanti boss di Sarajevo, ucciso nel 2007 in seguito a dei regolamenti di conti.
A rafforzare tale accusa è la testimonianza di Sejla Jugo Turković, moglie di Zijad Turković, famoso capo di un gruppo criminale attivo a Sarajevo fino a qualche mese fa, ora in prigione a scontare una pena detentiva di 40 anni per narcotraffico, estorsione e omicidio. La donna, un tempo assistente del magnate Radonćić, durante un’intervista con i giornalisti locali, racconta, infatti, di vari incontri tenutosi presso il Randon Plaza Hotel tra Radonćić, Keljmendi e altri esponenti della criminalità organizzata balcanica in cui sarebbe stato pianificato l’omicidio di Delacić, personaggio alquanto scomodo per gli affari di Keljmendi. Ma Radončić è sempre riuscito a dichiarare il contrario sostenendo, al contempo, di aver conosciuto il kosovaro Keljmendi prima che diventasse un personaggio controverso.
Le elezioni bosniache sono però turbate anche da altri eventi. Il Partito popolare “Con il lavoro per il miglioramento” è stato recentemente al centro di un’inchiesta per frode fiscale e riciclaggio di denaro, mentre Živko Budimir, candidato del seggio croato, quando ricopriva la carica come presidente della Federazione venne arrestato sotto l’accusa di aver garantito amnistie dietro compensi illeciti.
La classe politica bosniaca appare, dunque, ancora contornata da un spaventoso livello di corruzione in un Paese in cui l’unione nefasta tra mondo politico e criminalità organizzata ha posto le sue basi fin dai tempi delle guerre. Ma soprattutto è incapace di proporre delle giuste alternative per una Bosnia desiderosa di una rivincita e continua a cibarsi degli equilibri precari e di gruppi criminali che contaminano un’economia, che non gode di ottime salute, con innumerevoli affari illeciti.