di Vincenzo Raffa
E’ buio e Napoli puzza di bruciato. Nell’oscurità, scheletri di cemento vengono illuminati dal fuoco che li sta divorando. Sembra l’apocalisse. Brucia la Città della Scienza. Brucia la conoscenza. Brucia la speranza di un riscatto e con lei bruciano le coscienze.
All’esterno di quello che fino a poco tempo prima era uno dei poli scientifici più belli ed importanti d’Italia, accorre un piccolo gruppo di persone incuriosite. Guarda l’ennesima sconfitta della sua città. Musi lunghi. Le mani attorcigliate alle sbarre del cancello d’entrata come dei carcerati che, impotenti, osservano dall’interno della cella il trascorrere delle ore.
“Siamo stati attaccati”, sussurra un passante, attento a non farsi sentire. Ma la stessa frase sarebbe stata ripetuta il mattino seguente, con voce vibrante, dal sindaco di Napoli Luigi de Magistris.
E’ giorno e Napoli puzza di bruciato. Un pompiere è ancora intento a spegnere gli ultimi piccoli roghi. Un uomo sta, immobile, in mezzo alla piazzetta antistante la Città della Scienza. Occhi fissi su ciò che resta di un luogo tanto importante per Napoli. Sguardo perso.
<<La legalità fa paura secondo lei?>> gli domanda il giornalista.
<<La legalità fa paura – gli fa eco l’altro – e invece loro no, non fanno paura>>.
Dopo un evento del genere “in un paese normale” – così si dice di solito e forse non a torto – le strade si riempirebbero di cittadini all’urlo di “fuori i nomi! Portateci chi è stato!”; i politici si indignerebbero, batterebbero il pugno sul tavolo e urlerebbero “fuori i nomi! Portateci chi è stato!” E così infatti è avvenuto: le parole del ministro della Giustizia Paola Severino e quelle del sindaco partenopeo si fondono, come all’unisono, in una ferma condanna. Ma quante di queste parole sono state spese in questi anni? Quante volte ci si è indignati? Quante lacrime di disperazione sono state versate? Tante. Forse troppe per credere all’ennesimo “faremo di tutto”, o “prenderemo i colpevoli”. Le fiamme su Napoli indeboliscono la speranza in un cambiamento possibile.
Gli animi di tutti sono silenziosamente scossi.
Siamo sotto attacco sì, ma ormai da decenni. Tra qualche giorno ce ne dimenticheremo? L’importante è che nessuno si sia fatto male, ed anche quando così è stato, anche quando ci sono state delle vittime, poco ci è importato: tanto fracasso si è sentito all’indomani dell’attentato alla scuola Morvillo-Falcone che costò la vita ad una studentessa, Melissa Bassi, il 20 maggio 2012 a Brindisi.
E tanto fracasso si sente oggi. Quale livello di disperazione bisogna raggiungere per ribellarsi?
<<Sa che cosa manca a questa città, a questo Paese?>> L’uomo nella piazza resta immobile a fissare lo scempio e ha voglia di parlare ancora col giornalista.
<<Uno stato forte che ci difenda?>> prova a rispondere il cronista.
L’uomo scuote la testa. Un sorriso triste gli si dipinge sulle labbra: <<la solidarietà>>
<<Se avessimo la solidarietà a quest’ora tutt’Italia sarebbe in piazza a protestare. Invece siamo qui a guardare la desolazione di sempre>>. Lo sguardo questa volta è basso e sa di sconfitta: <<nulla cambia, e nulla cambierà>>.
Guardando i volti, ascoltando le parole delle persone, sembra che l’uomo abbia ragione.
Bisognerebbe reagire. Avere grinta. Battere i pugni sul tavolo. Denunciare. Molti hanno reazioni. Pochi la grinta. Pochissimi i pugni forti. Solo alcuni il coraggio di denunciare. E se solo alcuni continueranno a denunciare, allora sì che non cambierà niente e di queste notizie se ne continuerà a sentire.
In un luogo in cui nemmeno la cultura può più sopravvivere, in cui lo sguardo si volta dall’altra parte, in cui le coscienze tormentate vengono fatte immediatamente tacere, il cambiamento viene sotterrato dall’acciaio e dal puzzo di bruciato.
E’ buio e Napoli puzza ancora di bruciato.