Fu tortura. A 14 anni da quella terribile notte del 21 luglio 2001 la Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia, non solo per le violenze inflitte ai manifestanti, ma anche per la mancanza nella nostra legislazione di una punizione nei confronti del reato di tortura. Il ricorso è stato presentato da Arnaldo Cestaro, militante vicentino di Rifondazione comunista, che all’epoca del pestaggio aveva 62 anni. Il signor Cestaro entrò alla scuola Diaz per riposarsi e dormire dopo una giornata di manifestazione, ed uscì con fratture a braccia, gambe e costole che hanno richiesto numerosi interventi chirurgici negli anni successivi. Cestaro è poi diventato un attivista del Comitato Verità e Giustizia per Genova che ha accolto con soddisfazione la sentenza. La Corte ha inoltre stabilito che lo Stato italiano dovrà risarcire alla vittima 45mila euro per danni morali.
“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”, così afferma l’articolo 3 della Convenzione Europea. Quello che successe nella scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto, invece, rappresenta la più grande sospensione del diritto in un paese occidentale dal secondo dopoguerra. Una porta che si apre di scatto, un manganello che si muove veloce, qualcuno chiede: “che ho fatto?”, la violenza sempre più feroce. Ossa rotte. Sangue sui muri e sui pavimenti. Corpi terrorizzati e mai più liberi di dimenticare. Un inferno. L’hanno chiamata “la mattanza della democrazia”, degna di una notte argentina. Anche l’Italia ha vissuto una sua “notte delle matite spezzate”, con la differenza che nel 2001, nel nostro Paese, non c’era nessun regime militare che ordinò questo massacro. Ci fu soltanto una cabina di regia che guidò una folle operazione di polizia ai danni di presunti manifestanti violenti. In quella scuola, invece, c’erano anziani, giovani, donne e uomini, giornalisti, studenti, professori. Il “gruppo nero” di Black Bloc, che durante il giorno mise a ferro e fuoco il centro di Genova, assolutamente indisturbato, non c’era. Furono rinvenute soltanto due “molotov”, che furono portate all’interno dalle stesse forze di polizia, come accertato nelle fasi successive. Fu, dunque, tortura. Una costante sospensione dei diritti civili, cominciata con il pestaggio alla Diaz, e proseguita nella caserma “lager” di Bolzaneto. Tre giorni di ordinaria follia. Assolutamente impunita. Fino ad oggi.
Un giorno sono intervenuto come relatore al Liceo Zucchi di Monza, per parlare di mafia. Ad un certo punto, dalla platea di studenti prese la parola una ragazza dai capelli biondi: “Secondo voi, cosa si potrebbe fare per far tornare, in noi giovani, la fiducia verso la polizia?”. Rimasi attonito. Spiazzato. A farmi una domanda simile era stata una ragazza che non aveva vissuto quei giorni terribili incollata alla televisione per cercare di capirne i motivi. Ma era una giovane osservatrice dei più recenti “omicidi di Stato”, come le morti di Federico Aldrovandi e di Stefano Cucchi. Giovani come lei, come noi, che dopo un fermo o un arresto, non hanno più potuto rivedere i propri cari e vivere il mondo insieme a loro, non hanno più potuto riconoscere la “bellezza”, come ci ricordava Peppino Impastato. A questa ragazza possiamo spiegare che è ingiusto generalizzare. Possiamo spiegarle che nel nostro Paese ci sono moltissimi poliziotti che fanno il proprio mestiere con passione e con amore civile, per il prossimo. Possiamo spiegarle che in alcune regioni, servitori dello Stato sono stati uccisi per difendere uno Stato giusto. Ma come facciamo a spiegare ai ragazzi la bellezza della legalità, quando uomini violenti nascosti da una divisa applaudono gli assassini di un ragazzo di 18 anni? Come possiamo educare i giovani alla cultura della giustizia, quando il capo della Polizia italiana durante il G8 genovese Giovanni De Gennaro viene, non solo assolto, ma anche promosso con nomine di rilievo, come quella di Direttore del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, oppure come quella di Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel Governo Monti? Per questo, molte volte, vorrei che domande come queste, espresse dall’innocenza giovanile, venissero rivolte a voi tutti, che scambiate una divisa da onorare con l’abuso di potere, che anziché difendere la legalità siete il miglior esempio dell’illegalità, impunita.
È possibile, dunque, mandare in frantumi tutto ciò che di buono era stato fatto negli anni precedenti. I fatti tragici di quel luglio 2001 hanno rischiato di cancellare, in un solo colpo, tutte le manifestazioni degli studenti che solidarizzavano con i magistrati e le forze dell’ordine, che in una terra non troppo lontana cercavano di sconfiggere la mafia, il peggior cancro nato nelle viscere più profonde dello stivale. Sarebbe bastato, forse, chiedere immediatamente scusa. Farsi perdonare con una condanna penale e morale di seviziatori e mandanti. Sarebbe stato sicuramente un gradevole passo in avanti. Invece, per l’ennesima volta, abbiamo dovuto aspettare una Corte Internazionale che ci condannasse, per un crimine di 14 anni prima. Oggi non dovremo ascoltare il mantra politico del “Ce lo chiede l’Europa”. Oggi saranno tutti in silenzio, non per ricordare le vittime di quel pestaggio, ma perché “Ce lo impone l’Europa”.