di Amedeo Paparoni
Nel mondo del crimine organizzato c’è chi è capace di conquistarsi una particolare attenzione nell’opinione pubblica. Al Capone, El Chapo e Pablo Escobar sono sicuramenti gli esempi più calzanti. Su Escobar in particolare esistono una serie di aneddoti e statistiche curiose: il numero di animali presenti nel suo zoo privato, quanto denaro guadagnava in un giorno, quanti contabili gestivano i conti del suo cartello. C’è persino un dato su Escobar che continua a crescere nonostante lui sia morto da ventotto anni, ovvero il numero di opere cinematografiche a lui dedicate.
Se esistesse una grottesca statistica dei record conquistatati dai criminali in ambito cinematografico Escobar si ritroverebbe in vetta alla classifica. Va però detto che la stragrande maggioranza di questi film non ha visto la luce prima del nuovo millennio. Negli anni ottanta a rendere il capo del cartello di Medellín noto alle cronache ci pensa un quotidiano colombiano, El Espectador. La redazione del giornale può contare su un gruppo di giornalisti che ha capito la pericolosità dei cartelli e l’importanza di difendere la Colombia dalla loro ingombrante presenza. Le loro inchieste sono pungenti e infastidiscono i signori della droga che reagiscono violentemente. Tra i giornalisti del quotidiano caduti nella lotta al narcotraffico c’è pure il direttore, Guillermo Cano, ucciso appena fuori dalla redazione da sicari del cartello di Medellín. La redazione è sotto shock ma non si piega al ricatto.
Tra i giornalisti in prima linea c’è Fabio Castillo. Per lui la cosa più naturale per rispondere alla morte del suo mentore è pubblicare un libro, Los jinetes de la cocaína (I cavalieri della cocaina nell’edizione italiana), che raccoglie le informazioni più rilevanti sui cartelli colombiani. Nell’introduzione di questo libro il giornalista ricorda commosso il suo maestro ma non sembra per nulla scoraggiato, anzi è motivato a portare avanti la sua battaglia di denuncia. Dopo dieci anni di indagini giornalistiche Castillo è un fiume in piena in grado di condensare in 130 pagine una enorme quantità di informazioni sui cartelli, sui loro metodi per il riciclaggio di denaro, sui più efferati omicidi commessi e sul loro rapporto con il mondo della politica, della finanza e dello sport. Le inchieste di Castillo vanno in profondità e ricostruiscono dettagliatamente vicende complesse come ad esempio l’acquisizione da parte dei fratelli Rodríguez Orejuela, capi del cartello di Cali, del controllo di due banche. Castillo lancia un monito molto preciso: la democrazia in Colombia è in pericolo per colpa dei cartelli della droga e delle loro connivenze con la politica.
In pochi giorni I cavalieri della cocaina diventa un caso editoriale in America Latina. La distribuzione di questo libro è capillare: lo si trova in libreria ma anche nelle bancarelle in strada, dai fornai e dai droghieri. Non è una fortunata mossa di marketing, ma il metodo con cui l’economia illegale si insinua anche nell’editoria: le copie che gli ambulanti vendono sui marciapiedi sono edizioni clandestine, accanto alle quali sono esposti anche gli opuscoli scritti dal biografo scelto da Escobar, Edgar Roberto Escobar Traborde.
Raggiunto dalle minacce dei narcotrafficanti di Cali e Medellín, Castillo decide di lasciare la Colombia e di far perdere le proprie tracce. Come racconta la giornalista Maria Jimena Duzman, Miguel Rodríguez Orejuela in persona, preoccupato per la cattiva pubblicità, fa visita alla sede de El Espectador chiedendo di Castillo. Fortunatamente il giornalista non è in redazione e, avvisato dai colleghi, ha il tempo di preparare la sua fuga. Da quel momento Castillo diventa un fantasma.
Le inchieste di El Espectador continuano a infastidire i cartelli e in particolare quello di Medellín che nel settembre del 1989 reagisce facendo esplodere un camion bomba davanti alla sede del quotidiano e provocando 73 feriti. Appena un mese dopo Martha Luz López e Miguel Soler, dirigenti del quotidiano, vengono assassinati.
Nell’edizioni italiana de I cavalieri della cocaina, pubblicata nel 1992 da Teda Edizioni, c’è un curioso dettaglio che fa comprendere che rintracciare Castillo è pressoché impossibile. L’editore infatti è stato costretto a scrivere una nota introduttiva per scusarsi con l’autore perché non è stato possibile prendere un accordo sulla traduzione e sui diritti di pubblicazione, per i quali si offre di pagare quanto dovuto: “Se abbiamo deciso di procedere alla traduzione, nonostante i rischi legali che comporta, è perché il volume ci sembra così interessante da risultare irrinunciabile”.
L’autoesilio non scoraggia Castillo che pubblica un nuovo libro, La coca nostra (inedito Italia), in cui tratta il ruolo delle banche internazionali e dei paradisi fiscali nel riciclaggio di denaro derivante dal narcotraffico.
In un’intervista del 2014 concessa al periodico Universo Centro, Castillo ripercorre le tappe della sua fuga: Miami, New York, Madrid e Parigi. Non rinuncia alle sue inchieste, pubblicate su Cambio16, Le Monde e El País. Dopo aver vissuto ad Haiti e aver lavorato per le Nazioni Unite, Castillo rientra in Colombia, per una singolare coincidenza, una settimana prima dell’uccisione di Pablo Escobar. Ricomincia a lavorare per El Espactador e nel 1996 pubblica Los Nuevos Jinetes de la Cocaína, il libro che chiude la sua trilogia sul narcotraffico colombiano indagando gli effetti che questo ha avuto sulla sovranità e sulla diplomazia del paese. In Italia non è stato pubblicato. Nel 2003 la giornalista Tina Rosenberg del New York Times accusa El Espectador di aver licenziato Castillo a seguito di pressioni governative. Castillo ha infatti denunciato le complicità dell’allora ministro degli interni e della giustizia Fernando Londoño Hoyos in un caso di corruzione in ambito finanziario. Castillo, però, non si dà per vinto e prosegue la sua attività di giornalista. Oggi è direttore di El Diario Alternativo, magazine online senza scopo di lucro che propone indagini giornalistiche su eventi storici e contemporanei.
Si è dato giusto qualche regola: niente scorta, niente informazioni personali quando si viene intervistati e soprattutto niente foto. Sarà per via di quest’ultima regola che nell’agosto 2020, invitato
a una video conferenza sui rapporti tra narcotraffico e paramilitarismo, al posto del suo volto ha preferito mostrare un suo ritratto che non sappiamo quanto gli assomigli veramente. Non sappiamo, e per la sua sicurezza non vogliamo sapere, che aspetto abbia Fabio Castillo e dove viva. Sappiamo però che, essendo i cinema chiusi per l’emergenza Covid, nei prossimi mesi non ci siederemo in sala per vedere un nuovo film che mostra il volto falsamente carismatico di Pablo Escobar. Nel frattempo non ci costa nulla sperare che un giorno i cinema riaprano e proiettino un film ispirato a un coraggioso giornalista colombiano. Diversamente ci accontenteremmo di poter comprare in libreria la trilogia di Castillo.