di Giulia Ferri
“Una mastodontica e tenebrosa organizzazione delinquenziale, viva ed operante come una gigantesca piovra, che stende ovunque i suoi micidiali tentacoli e tutto travolge per soddisfare la sua sete insaziabile di denaro e predominio”. Così Pietro Scaglione, Procuratore della Repubblica nonché primo magistrato siciliano ucciso per mano di Cosa Nostra, definì nel 1969 la mafia. Colto, integerrimo, imparziale e dotato di grande spirito di sacrificio, Scaglione è stato tra i primi magistrati a combattere Cosa Nostra e ad intuirne la crescita oscura e con grande impegno ha indagato sui grandi misteri siciliani per scoprire la verità e affidare i colpevoli di tali crimini alla giustizia.
Nato in provincia di Palermo il 2 marzo 1906, Scaglione si laurea giovanissimo in giurisprudenza e a soli 22 anni entra in magistratura. Il 29 marzo 1947 viene destinato come Sostituto Procuratore alla Procura di Palermo, dove gli vengono affidati i più importanti processi di mafia del periodo. Sono questi gli anni delle lotte per la terra tra braccianti, sindacati e proprietari terrieri, in cui la mafia scende in campo per schierarsi a favore del latifondo. È proprio Scaglione ad essere incaricato, nel 1950, di seguire il processo per la strage di Portella della Ginestra, che segna quasi l’inizio di anni di rivendicazioni che durano fino all’inizio degli anni 50.
Trascorsi un paio di anni a Roma come consigliere della Corte Suprema di Cassazione, nel 1959 Scaglione fa ritorno nel capoluogo siciliano e nel 1962 viene nominato Procuratore della Repubblica di Palermo. Nel frattempo la mafia ha cambiato volto, abbandonando il latifondo per cogliere le opportunità che l’urbanizzazione che stava avvenendo in quegli anni offriva: è qui che si consuma, infatti, la stagione del Sacco di Palermo, in cui Cosa Nostra gioca un ruolo cruciale. Le grandi opportunità di arricchimento generate dall’urbanizzazione degli anni ’50 e ’60 del Novecento portano allo scoppio della prima guerra di mafia, che vede scontrarsi per il controllo delle aree edificabili e del traffico di stupefacenti, il clan dei La Barbera con il clan dei Torretta e quello dei Greco, guerra che trova il suo apice nella strage di Ciaculli del 1963. È ancora una volta Scaglione ad occuparsi dei processi ai danni di Cosa Nostra, della quale, in quegli anni, si cominciano ad intuire le trame associative. Grande fu poi, nel corso degli anni 60, l’impegno di Scaglione nel perseguire e accusare Luciano Liggio e gli appartenenti alla cosca dei corleonesi, che in quegli anni avevano intensificato le violenze, anche se i processi ai loro danni si conclusero di fatto quasi sempre con l’assoluzione degli imputati.
Sempre in quegli anni Scaglione promuove inoltre una serie di inchieste nei confronti di politici per combatterne la collusione con la mafia; così scrive Mario Francese: “Pietro Scaglione fu convinto assertore che la mafia aveva origini politiche e che i mafiosi di maggior rilievo bisognava snidarli nelle pubbliche amministrazioni.”
La mattina del 5 maggio 1971 Pietro Scaglione viene ucciso insieme al suo agente di custodia Antonio Lo Russo. I due si trovano presso il cimitero dei Cappuccini a Palermo, dove il magistrato è solito recarsi o gni mattina per visitare la tomba della moglie, quando attorno alle 11 la marcia della Fiat 1500 su cui si trova Scaglione viene interrotta improvvisamente da un’altra auto: due o tre persone aprono il fuoco colpendo più volte il corpo del magistrato.
Cinquant’anni dopo, però, nonostante collaboratori di giustizia abbiano fornito elementi utili alle indagini, ancora non si conoscono i nomi dei mandanti né degli autori e nemmeno con chiarezza il movente dell’omicidio. Certo è, però, che l’omicidio di Pietro Scaglione, in quanto primo di una serie di omicidi diretti a colpire lo stato, rappresenta un punto di non ritorno e come affermò Giovanni Falcone aveva “Lo scopo di dimostrare a tutti che Cosa Nostra non soltanto era stata intimidita dalla repressione giudiziaria, ma che era sempre pronta a colpire chiunque ostacolasse il suo cammino”.