di Nando dalla Chiesa
Ha fotografato la mafia come nessuno. L’ha messa a nudo, scarnificata, ne ha svelato l’essenza più intima e gridato quella pubblica con scatti che hanno fatto il giro del mondo. La sua anima è stata un concentrato potente di libertà e sensibilità. Alti magistrati, presenti perfino in Cassazione, sentenziavano che la mafia fosse materia non per tribunali ma per sociologi, e lei metteva in pagina eccidi, sgozzamenti, macchie di sangue che incorniciavano corpi. Non per sensazionalismo, ma per istinto di verità, persino per vendicarsi del dolore. Oppure uomini di Stato giuravano che la mafia fosse una criminalità come molte altre ve ne erano, diversamente chiamate, nelle varie regioni d’Italia; e lei ne squadernava tutto l’orrore fotografando gli occhi di un’infanzia condannata a giocare fra immagini di macerie e di pistole.
Letizia Battaglia è stata senza dubbio una delle maggiori intellettuali del Novecento italiano. Donna giovane e libera, fotografa dell’ “Ora”, leggendario quotidiano palermitano della sera, felice anomalia femminile in un mondo totalmente maschile, nella mafia e in quel po’ di antimafia che c’era. Ha vissuto la sua vita avventurosa, tra arte e impegno, tra militanza civile e militanza politica, tra gioie e lacrime, attraversandola con curiosità infantile e al tempo stesso sapiente, con la coscienza del ruolo che incarnava e il desiderio di superarlo. «Io non sono la fotografa della mafia, e nemmeno dell’antimafia», mi disse una sera a Milano, l’ultima volta che ci vedemmo. «Io ho fotografato la mia terra», volle precisare, «e se oggi mi chiedessero di fotografare la mafia, forse non saprei da che parte cominciare, magari me la fai vedere tu a Milano, o no?», aggiunse scherzando. A lei è stato dedicato un film bellissimo, Shooting the Mafia, andato con straordinario successo in alcune sale, anche all’estero, nel 2019.
Vedendovi le sue immagini di una vita, ascoltandola nelle sue riflessioni di donna che ama la libertà, l’amore, i bambini, e che ha amato profondamente i “suoi” giudici, si è presi dalla commozione e dall’ammirazione per questa dolce ed eterna ribelle. Una ribelle a cui perfino le tante rughe, nell’ultima parte della sua vita, hanno conferito una bellezza speciale. Che le permetteva di specchiarsi sorridendo nella bambina con pallone che fotografò un giorno lontano in una via di Palermo. In assoluto uno dei suoi scatti più belli. Senza morti, ma senza gioia nel sorriso.