Forse Sciascia aveva ragione. Nel chiamarli così. Perché chi studiava e analizzava la mafia era davvero un professionista, un esperto. In grado di fare collegamenti, riuscendo a capire e a scoprire. Dunque, certo, era un professionista. Ma davvero l’antimafia veniva utilizzata come un mezzo per fare carriera? Colui che hai ingiustamente criticato nel tuo articolo ci si è trovato per caso in un’indagine di mafia. Non se ne voleva occupare. Non l’aveva scelto. “Poi ci sono rimasto per un problema morale. La gente mi moriva attorno”, disse.
Siamo negli anni Ottanta. L’articolo tuonante di Sciascia è datato 10 gennaio 1987. Ma cosa accadde prima?
La stazione di Bologna cambia volto il 2 agosto 1980, quando esplode una bomba che uccide ottantacinque persone. Nello stesso anno avviene il terremoto dell’Irpinia: tremila morti, novemila feriti, 280.000 sfollati. Chi festeggia è soltanto la camorra, per gli “affari” della ricostruzione. L’anno successivo l’Italia conosce la loggia massonica segreta P2, guidata da Licio Gelli, ma ci si dimentica tutto in fretta perché vinciamo insperatamente i mondiali spagnoli del 1982. E mentre sono ancora fresche le immagini di Pertini in piedi esultante in tribuna, Bettino Craxi viene eletto presidente del Consiglio e il capoluogo lombardo diventa il centro di potere del Partito Socialista Italiano, caratterizzato dal “rampantismo arrivista” e dalla percezione di benessere diffuso. Milano da bere, in sintesi.
E poi c’era la mafia. E coloro che la combattevano. Con professionalità e coraggio.
Il 6 gennaio 1980 viene ucciso Piersanti Mattarella, presidente della regione Sicilia, democristiano e fermo oppositore della complicità politico-mafiosa, in quegli anni dominante a Palermo. Gli Omicidi Basile e Costa (anch’essi avvenuti nel 1980) provocano il rientro in terra sicula del combattivo comunista Pio La Torre, ucciso il 30 aprile 1982 insieme al compagno di partito Rosario Di Salvo. Ennesimo agguato, dunque. Il Generale dalla Chiesa accetta così l’incarico di Prefetto del capoluogo siciliano, chiedendo tuttavia pieni poteri per poter attaccare frontalmente Cosa Nostra. Ma viene osteggiato e isolato. Il 3 settembre viene trucidato in Via Carini insieme alla giovane moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente Domenico Russo. L’indignazione popolare riesce a far approvare una legge innovativa (416 bis), scritta da quel deputato ucciso qualche mese prima, ma non riesce a fermare il sangue. A novembre la mafia si prende anche l’anima di Calogero Zucchetto, giovanissimo agente di polizia della squadra mobile di Palermo.
Il 1983 è l’anno dei magistrati: perdono la vita in sequenza Giangiacomo Ciaccio Montalto, Bruno Caccia, ucciso dalla ‘ndrangheta nella nuova terra di conquista piemontese, e Rocco Chinnici, capo dell’ufficio istruzione del Tribunale di Palermo e ideatore del cosiddetto Pool Antimafia. Nel gennaio 1984, a Catania, viene ucciso Giuseppe Fava, detto Pippo, artista e giornalista Giornalista, come l’avrebbe chiamato il collega Giancarlo Siani, cronista de Il Mattino, ucciso l’anno successivo dalla camorra.
Un elenco infinito. Che si arricchisce di ottimi uomini della squadra mobile di Palermo, come Giuseppe Montana e Ninni Cassarà e di tante altre persone che hanno pagato con la propria vita il loro impegno, il loro sapere e la loro conoscenza. Poliziotti, giornalisti, magistrati. Innocenti. Vittime. Che con premura non dimenticheremo mai. Anzi, a dispetto di chi, in modo infelice, ne criticò il valore quando erano ancora in vita, noi ricorderemo per sempre il loro essere professionisti. Dell’antimafia.