di Nando dalla Chiesa
Negli ultimi giorni Milano ha perso due pietre pregiate. Appartenevano a quella che una volta si chiamava la “borghesia illuminata”: Cini Boeri e Franco Morganti. Una donna e un uomo che hanno inciso nella cultura della città. Lei architetto, lui manager d’impresa. Cini una raffinata intellettuale del bello, interprete originale di una professione che ai suoi tempi non si confaceva a una donna, come le venne detto al momento di iscriversi all’università. Franco un anticipatore naturale di quella specializzazione che sarebbe poi diventata l’ingegneria gestionale, esperto di tecnologia e di direzione d’impresa. Tutti e due interpreti autentici della cultura e dello spirito della Milano “capitale morale”, ma anche abbastanza eretici per non ricevere dalla città e dai suoi poteri i classici ponti d’oro, nonostante le qualità professionali ed etiche dimostrate in tanti decenni. Sul piano politico, lei proveniente dall’esperienza partigiana, lui, nato alcuni anni dopo, legato all’esperienza del Partito d’Azione.
Dice: sì, ma l’antimafia che c’entra? Nessuno dei due infatti ne fu un esponente, anche perché quando giunsero ai livelli più alti della loro carriera professionale il movimento antimafia non esisteva non solo a Milano ma nemmeno a Palermo. Però quando nacque, quando si affacciò sulla scena milanese molto più giovane di loro, tutti e due si fecero trovare pronti ad aiutarlo, a prenderlo per mano. Gli cercarono strade nella città che contava, lo legittimarono, lo finanziarono. Cini fu tra i primissimi fondatori del circolo “Società Civile”, che negli anni ottanta guidò le battaglie contro mafia e corruzione. Franco, già molto impegnato in associazioni civili di rinnovamento etico e istituzionale, scelse di appoggiare il circolo senza fondarlo. “Ho già fondato troppe cose”, mi spiegò, “poi sembra che sia sempre dappertutto, però vi manderò la parte migliore della famiglia”. E mandò Nicola, il figlio giovanissimo, studente di Scienze Politiche, che sarebbe stato tra i protagonisti di quell’avventura prima di andarsene in Africa a organizzare volontariato.
Cini seguiva con partecipazione la lotta antimafia. Una volta capì, da quello che leggeva sui giornali, che il sottoscritto poteva essere in pericolo per una somma di fatti e per i violenti attacchi politici da nessuno contrastati, e mi telefonò offrendomi le chiavi di una sua casa in montagna, “così te ne vai via per un po’ di tempo”. Anche Franco seguiva quella lotta e la accompagnava con le sue battaglie referendarie moralizzatrici, per la preferenza unica, il collegio uninominale e l’elezione diretta del sindaco.
Oggi voglio ricordarli tutti e due con riconoscenza: alla città di Milano e ai più giovani. L’una e gli altri, per ragioni diverse, non hanno infatti memoria di quel che ho raccontato. La prima perché non sa praticamente nulla di questa strana storia di antimafia che le è pur fluita dentro e che alla lunga ha seminato bene. I secondi per ragioni anagrafiche, perché mai hanno visto o ascoltato questi signori combattivi e per bene alle manifestazioni di Libera o delle associazioni nate nell’ultimo decennio. Eppure all’inizio ci furono loro: a dare il benvenuto, a dare una mano.