Potrebbe essere questo l’incipit più adatto per una triste novella sul meccanismo di assoggettamento dell’hinterland da parte delle cosche. Purtroppo non si tratta di un romanzo, ma di recenti fatti di cronaca.

La ‘ndrangheta calabrese che si impossessa della provincia milanese scegliendo come porto d’approdo i caffè, le osterie e le gelaterie di paese. Succede a Cisliano, 4 mila anime in quel che rimane del Parco Agricolo del Sud Ovest di Milano. Sono stati arrestati qui, nel corso degli ultimi due anni, a 20 km dalla Madonnina della guglia del Duomo, i componenti di un’importante struttura ‘ndranghetista: i Valle – Lampada. Si tratta di un clan attivo dagli anni settanta e rappresenta l’emblema della capacità delle cosche malavitose di rigenerarsi nonostante i provvedimenti della magistratura. Dopo i primi arresti per usura negli anni ’80, il terreno fertile della provincia ha permesso ai Valle – Lampada di far rifiorire i propri affari. Partendo dalle slot machine. E’ il guidice Guido Salvini, consulente nel 2007 della Commissione Parlamentare Antimafia e oggi gip a Cremona, a far luce sul meccanismo: “Le slot machine sono un modo facile per riciclare e guadagnare denaro, e nel contempo controllare un esercizio pubblico. Molto spesso chi gestisce un bar è obbligato da strutture criminali a collocare nel proprio negozio apparecchi e macchinette d’azzardo. Ed è un settore in cui la ‘ndrangheta ha trovato un meccanismo semplice e veloce per spostare i soldi derivati dall’illecito e di farli fruttare ancor più rapidamente. Il clan Valle – Lampada a Cisliano aveva un vero e proprio fortino: una masseria che ricalcava quelle di certe regioni meridionali con tanto di guardie, ristorante per le riunioni, abitazioni per i vari componenti della famiglia e uffici per le loro società. L’attività primaria di questa organizzazione era l’usura in danno a commercianti e imprenditori in difficoltà. L’usura consente di avere dei soldi, si guadagna. E allora come venivano utilizzati questi soldi? I Valle – Lampada hanno individuato proprio nelle slot machine la possibilità di immediati guadagni, costituendo società dai nomi molto accattivanti tanto da piacere ai bambini come la ‘Peppone Giochi’. Il meccanismo – spiega Salvini – è semplice: gli affiliati del clan collocano macchinette negli esercizi pubblici e impongono la sistemazione di questi apparecchi nei luoghi controllati dall’organizzazione. Ciò consente agli ‘ndranghetisti sia di fare gli esattori delle somme incassate dagli esercenti, sia di raddoppiare il fenomeno del racket controllando il locale stesso e, quindi, di impossessarsi del territorio a partire dal gioco d’azzardo”. E parlando del potere di questo clan, è passata alla storia la frase di Antonio Chiriaco, ex direttore sanitario della Asl di Pavia sotto processo oggi per l’indagine Infinito: “Tra i Valle e la magistratura – affermò Chiriaco alle autorità giudiziarie – preferisco avere dietro le spalle la magistratura; è chiaro che ad un certo punto preferivo una condanna piuttosto che avere i Valle dietro le spalle”. Anche l’estorsione in danno a locali pubblici è un meccanismo che al Nord si sta espandendo sempre più: le cosche cercano di raggiungere le zone ancora vergini mediante l’usura e il racket. “La tecnica – dichiara Salvini – è quella classica della minaccia mafiosa: si aggrediscono i gestori e chi non paga lo si chiude nel locale per picchiarlo cercando di convincerlo con la violenza a cedere l’esercizio”. Non resta che chiedersi: ci sono delle zone immuni? Dalle inchieste degli ultimi due anni, Bad Boys e Infinito, emerge che di Milano e del suo hinterland poco o nulla si salva. Persino i più piccoli centri urbani della provincia milanese sono finiti nelle carte della Direzione Nazionale Antimafia: chi nominato nelle socio-linguisticamente interessanti intercettazioni telefoniche e ambientali, chi vittima di collusione vera e propria fra mondo legale e mondo illegale. E il resto della Lombardia non si trova in condizioni migliori. Salvini, che in questi due anni da Milano è passato a lavorare come gip a Cremona, racconta come anche nella lombardissima ‘città del torrone’ bagnata dal fiume Po stiano cominciando ad emergere segnali riconducibili al fenomeno malavitoso. “Cremona non presenta dei gruppi organizzati che al momento possono essere identificati come ‘locali’ o ‘famiglie’ della ‘ndrangheta, però anche qui si intravedono fenomeni che costituiscono veri e propri campanelli d’allarme. Ad esempio recentemente un grande imprenditore del settore della ristrutturazione e dell’edilizia ha notato fatture per un milione di euro emesse da artigiani e piccole ditte che ufficialmente gli fornivano prodotti e manodopera per la realizzazione di opere. Questo imprenditore si è accorto che le fatture erano false: servivano semplicemente per aumentare il passivo e abbattere l’attivo, con lo scopo per le piccole società e ditte artigiane di ottenere un vantaggio fiscale enorme. Si tratta già dell’inizio della collusione: abbiamo infatti scoperto che tutte queste società appartengono a soggetti calabresi di una determinata zona che non operavano ma semplicemente producevano fatture”. Un segnale ben visibile di come i due mondi – quello legale e quello illegale – siano in grado di avvicinarsi. E se inizialmente ciò che il commerciante comune potrebbe intravedere è un vantaggio reciproco, ben presto emerge l’obiettivo finale del mondo illegale: quello di succhiare ed impadronirsi dell’attività legale, assorbendola.

Qui, la video-intervista al giudice Salvini.

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