di Redazione
Cominciamo dalla fine. “Oggi al concorso esterno in associazione mafiosa non crede più nessuno!”. Così il Sostituto Procuratore Generale della Cassazione Francesco Iacoviello nel marzo 2012 nella requisitoria che ha portato all’annullamento con rinvio della condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa dell’Onorevole Marcello Dell’Utri. In realtà Iacoviello non ha mai detto la frase incriminata, rimbalzata su tutti i giornali e da ognuno interpretata in vario senso, ma ha detto qualcosa di diverso, sebbene simile: “ [Il concorso esterno è] un reato autonomo creato dalla giurisprudenza. Che prima lo ha creato, usato, dilatato. E ora lo sta progressivamente restringendo (…). Non ci si crede più”.
Voci e voci si sollevano contro la sentenza della Cassazione. Subito sorge la solita tipicissima confusione italiana di identificare ogni sentenza che non sia di condanna con un’assoluzione, mentre annullamento con rinvio, ai sensi dell’art. 623 c.p.p. significa che sul fatto è richiesta una nuova pronuncia del giudice di merito in base al principio di diritto enucleato dalla Cassazione (pronuncia che è arrivata dalla Corte di Appello di Palermo il 25 marzo 2013, che ha ribadito l’originaria condanna a sette anni). A questo punto resta da chiedersi però cosa sia questa fattispecie giuridica, come nasce e se davvero sia morta.
Contro la zona grigia: con quali strumenti? “La vera forza dalla mafia sta fuori dalla mafia”: è questo ormai un sentire comune per chi studia, segue e cerca di capire il fenomeno mafioso. La vera lotta oggi non si combatte più soltanto contro l’associazione mafiosa in sé e i suoi affiliati, quanto anche contro quella “zona grigia” di connivenze, di accordi e di interessi che pervadono gli ambienti politici ed imprenditoriali. Ma tali comportamenti sono penalmente rilevanti? Esiste uno strumento giuridico attraverso il quale si possono perseguire?
Il reato di associazione mafiosa. La legge 646/1982 (c.d. legge Rognoni – La Torre) inserisce nel codice penale l’articolo 416-bis, il quale delinea il reato di associazione mafiosa come un reato associativo, cioè un reato la cui fattispecie prevede appunto che un soggetto faccia parte dell’associazione, ossia promuova o costituisca o organizzi la stessa. Ora, un politico o un imprenditore il quale faccia degli accordi con un’organizzazione di stampo mafioso, promettendo a quest’ultima qualcosa e quindi favorendola ed aiutandola a sopravvivere, ottenendone inevitabilmente un qualche vantaggio, non fa propriamente parte dell’associazione. Non appartiene infatti alla stessa né da un punto di vista soggettivo (manca la c.d. affectio societati scelerum, ossia la consapevolezza di essere all’interno di un accordo criminoso continuativo nel tempo) né da un punto di vista oggettivo (la permanenza stabile e continuativa del soggetto all’interno dell’organizzazione che ha come piano criminoso quello di compiere delitti indeterminati). La condotta del soggetto non integra dunque la fattispecie del reato di associazione mafiosa, e quindi non è penalmente rilevante (a meno che non si possa ricondurre alla particolare fattispecie dello scambio elettorale politico-mafioso ai sensi dell’art. 416-ter c.p.). Di conseguenza, individuare uno strumento giuridico che punisca questo tipo di condotte diventa di importanza vitale.
Concorso esterno in associazione mafiosa. Da qui l’elaborazione da parte della giurisprudenza della particolare fattispecie del concorso esterno in associazione mafiosa. Detta fattispecie configura il concorso eventuale (ai sensi dell’art. 110 c.p.) all’interno della fattispecie del 416-bis c.p. Il concorrente esterno nel reato di associazione mafiosa è quel soggetto il quale non fa parte dell’associazione e però pone in essere comportamenti che determinano “il mantenimento, il rafforzamento e l’espansione dell’associazione medesima” (Cass. Sezioni Unite, 30 ottobre 2002 – sent. Carnevale). Oggi la giurisprudenza ritiene che il concorso in associazione mafiosa possa essere sia un concorso morale (ossia la condotta di un soggetto che fa nascere o rafforza il proposito di commettere un fatto illecito) sia un concorso materiale (che si viene a determinare quando una condotta atipica è condizione necessaria per la realizzazione di un fatto illecito commesso da soggetti terzi). La Corte afferma inoltre che non è comunque sufficiente la sola “contiguità compiacente” o “vicinanza” o “disponibilità”, ma sono necessarie “positive attività che abbiano fornito uno o più contributi suscettibili (…) di produrre un oggettivo apporto di rafforzamento o consolidamento sull’associazione”.
I problemi. Essendo il reato di concorso esterno in associazione mafiosa una fattispecie di reato elaborata in giurisprudenza ed essendo la condotta che il concorrente esterno pone in essere una condotta atipica – ossia, una condotta che di per sé non integra alcuna fattispecie giuridica ma che contribuisce alla realizzazione della condotta tipica di un certo reato -, si pone una serie di problemi di non secondaria importanza, quale l’individuazione del grado di dolo richiesto al concorrente esterno o la definizione dell’aspetto sanzionatorio, nonché il problema della determinazione ex post della necessità e dell’effettività dell’operato del concorrente esterno per il raggiungimento degli scopi da parte dell’associazione. La giurisprudenza si divide su altri aspetti: l’apporto del concorrente esterno deve essere o meno fungibile? Deve intervenire in un contesto fisiologico della vita dell’associazione o in un momento patologico di fibrillazione della stessa? Le domande sono reali, e il problema diventa ancora più significativo se si considera che nel diritto penale è fondamentale rispettare i principi di tassatività e di determinatezza delle fattispecie giuridiche. Sotto questo profilo, di grande chiarezza è la Sentenza “Mannino 2” del 2005 (sempre Cass. Sezioni Unite), che interviene sistematicamente sulle maggiori problematiche interpretative riguardo al concorso esterno in associazione mafiosa. La sentenza pone però un significativo problema dal punto di vista probatorio, in quanto si richiede, al fine della configurabilità della fattispecie, che si provi che il soggetto attraverso la sua condotta abbia conservato o rafforzato l’associazione: un onere probatorio molto gravoso e quasi impossibile da soddisfare, ha sostenuto la più attenta dottrina.
Tornando alla Sentenza “Dell’Utri”. Si comprendono così le parole del PG Iacoviello, il quale di fatto denunciava come la giurisprudenza, dopo aver creato essa stessa la fattispecie del concorso esterno applicabile al 416-bis c.p., l’avesse progressivamente ristretta e resa più complessa nell’applicazione, stritolandola fra i fondamentali principi di garantismo, certezza, tassatività, rigorosità e determinatezza delle fattispecie giuridiche e rendendo estremamente difficile la sua effettiva applicazione (di qui l’annullamento con rinvio sia nella Sentenza “Mannino 2” che nella Sentenza “Dell’Utri”).
Prospettive future. Alla luce di quando detto diviene quindi indispensabile un intervento del legislatore che, così come avvenne nel 1982 con la Legge Rognoni – La Torre rispetto alla definizione del concetto di associazione mafiosa, intervenga sul codice e istituisca una fattispecie specifica che punisca la condotta di chi aiuta e sostiene dall’esterno l’associazione. La stessa proposta di legge Borsellino riguardo alla modifica dell’art. 416-ter c.p. per ampliarne la fattispecie, di cui si è parlato nei mesi passati in questa sede sarebbe un inizio importante. Ma sicuramente significativa anche una proposta di riforma ormai risalente al 1999, in cui si proponeva di inserire una fattispecie propria di concorso eventuale in associazione mafiosa, attraverso l’inserimento nel codice dell’art. 416-quater c.p. Intervento che all’epoca si ritenne futile, ma che alla luce da una parte del cambiamento dell’orientamento della Corte di Cassazione e dall’altra della sempre maggiore crescita ed infiltrazione del fenomeno mafioso, diviene obiettivo imprescindibile. La lotta alla mafia necessita oggi, infatti, che nei confronti del mondo imprenditoriale e politico che vive un rapporto simbiotico con la criminalità organizzata si pronunci non solo una vibrante ed importantissima condanna sociale ma anche una forte, certa e severa condanna giuridica, che rispetti i principi fondanti del diritto penale ma che sia al contempo efficace ed effettiva.