Giovedì 13 ottobre. Una sola volta Denise Cosco, nel corso delle 5 ore di controesame, ha perso la calma: «Lei non si deve permettere, io non vedo mia madre da due anni», ha detto all’avvocato che aveva appena fatto riferimento alla possibilità che Lea Garofalo fosse ancora viva. Denise, nel corso della giornata, ha risposto a tutte le domande poste dagli avvocati difensori, facendo emergere alcune novità che la corte dovrà esaminare e chiarire.
È stata l’avvocato Maira Cacucci, difensore di Cosco Giuseppe, a porre per prima le domande alla giovane testimone, scusandosi sin da subito per lo sforzo di memoria che le avrebbe richiesto. L’avvocato ha provato a ripercorrere dettagliatamente le giornate precedenti e successive il 24 novembre 2009, data in cui si colloca la scomparsa a Milano di Lea Garofalo, chiedendo chiarimenti sulla collana e sul bracciale che la donna portava con sé nella propria borsa e non addosso, sul numero di apparecchi telefonici in suo possesso, sulle possibilità concrete che loro avessero deciso comunemente un posto in cui andare a vivere. Frequenti sono stati i riferimenti dell’avvocato Cacucci a tabulati di contatti telefonici tra Denise e sua madre, tanto che il giudice Filippo Grisolia, dopo due ore di interrogatorio, l’ha redarguita: «Non è un quiz, ci devono essere domande rilevanti riguardo il suo assistito e la scomparsa di sua madre, mentre lei ha impostato un’attività defaticante, mettendo in un mare di cose irrilevanti quelle che sicuramente rilevanti lo sono».
Denise ha spiegato come sua mamma volesse riavere indietro 9 milioni di lire prestati anni prima al compagno Carlo Cosco, di come nei loro programmi non ci fosse una concreta possibilità di recarsi in un luogo preciso, sebbene il desiderio fosse di andare all’estero. Rispondendo ad una precisa domanda, Denise ha confermato che Lea facesse uso quotidiano di hashish. Ha quindi ribadito come la madre si sentisse più sicura con lei al suo fianco, sebbene non fosse mai del tutto tranquilla. Dalle domande degli altri difensori è anche emerso il motivo della rottura del rapporto tra Lea Garofalo e Annalisa Pisano, l’avvocato che aveva seguito la donna dal 2002 in poi durante il programma di protezione: Lea aveva chiesto che il cognome di Denise fosse cambiato da Cosco a Garofalo, senza però ottenere alcun risultato.
L’avvocato Daniele Sussman , difensore di Carlo Cosco, dopo aver chiesto di spostare il paravento che copriva Denise per poterla vedere e farsi vedere, ha cercato di ripercorrere con esattezza i passaggi di transizione dentro e fuori il programma di protezione e gli spostamenti di città in città delle due donne. Denise ha raccontato di non aver mai sentito il bisogno, dal 2002 in poi, di andare a trovare suo padre e di averlo fatto solamente il 19 marzo 2010, circa un mese dopo il suo arresto, per l’insistenza dei parenti. «Perché ha rinunciato, nel febbraio 2010, a qualsivoglia forma di protezione da parte dello Stato, se era convinta e sicura che fossero stati suo padre e i suoi parenti paterni ad uccidere sua madre?» ha chiesto l’avvocato Sussman. «Mi fu detto da mia zia Marisa che era meglio rifiutare, perché sarei stata da sola sotto protezione mentre i miei parenti materni sarebbero rimasti comunque a vivere con i miei fratelli. All’epoca io pensavo che di mia madre si fossero scordati tutti – ha risposto Denise – e io non avevo intenzione di vivere scortata 24 ore su 24; se ho fatto oggi questa scelta è perché credo che si possa fare giustizia».
Facendo riferimento al suo rapporto con Carlo Venturino, Denise ha spiegato che dopo il suo tentativo di fuga nell’aprile 2010, iniziarono a frequentarsi perché lui aveva avuto il compito di accompagnarla e controllarla; la loro relazione affettiva fu tenuta nascosta ai parenti e durò fino al 18 ottobre, quando Venturino venne arrestato mentre era con lei nella casa al mare degli zii. Furono rare le occasioni in cui accennarono alla sparizione di sua madre ed ogni volta che ciò era accaduto lui le aveva risposto che non ne sapeva niente, compreso quando Denise glielo chiese esplicitamente.
L’avvocato Sussman, a questo punto, ha mostrato alla testimone e alla Corte una lettera scritta e firmata da Denise, in cui lei comunica al padre Carlo che gli vuole bene, anche se non glielo ha mai detto: la ragazza riconosce la lettera e afferma di averla scritta nel periodo in cui lavorava nella pizzeria dei suoi parenti, tra agosto e settembre 2010, di averla fatta leggere a Carlo Venturino ma di non averla mai consegnata a suo padre in carcere. La difesa sostiene, invece, che quella lettera sia stata consegnata a mano dalla figlia a Carlo Cosco nella caserma di Petilia Policastro il giorno del suo arresto, il 3 febbraio 2010. «Perché scrivere cose non vere a suo padre di propria spontanea volontà?», le ha chiesto il giudice Grisolia: «Non volevo che qualcuno sospettasse che io avessi dei dubbi su di loro, vivendoci e lavorandoci assieme senza protezione dopo che avevo fatto delle dichiarazioni segrete ai carabinieri». Denise ha affermato di voler vivere sulla propria pelle i motivi per cui sua madre avesse deciso, sin da quando lei era piccola, di sradicarla dal luogo in cui aveva vissuto, portandola lontana.
Al termine del controesame a Denise Cosco, è stato ascoltato anche il maresciallo dei carabinieri Marco Sorrentino, della Sezione Impronte del Reparto Investigazioni Scientifiche di Roma: ha illustrato come le impronte digitali inviategli dai carabinieri di Campobasso e appartenenti all’aggressore di Lea Garofalo che si era finto tecnico della lavatrice il 5 maggio 2009 corrispondano a quelle dell’imputato Massimo Sabatino.
La prossima udienza, durante la quale verranno ascoltati altri testimoni, è stata fissata per giovedì 27 ottobre 2011 alle 9:30 presso il Tribunale di Milano.