di Monica De Astis
Un turbine di colori caldi e accesi, che ondeggiano nel lieve vento autunnale. Giallo, arancio, fuxia sono i colori che sulle bandiere fanno da sfondo a quel bellissimo sorriso.
E’ il dolce sorriso di Lea Garofalo, una giovane donna, una madre forte e coraggiosa, una ribelle, una testimone di giustizia che non ha avuto paura della morte.
Ma ancor prima, sarebbe più corretto dire che Lea, non ha avuto paura della vita vera, quella fatta di gioie e dolori, situazioni e ruoli che spesso non siamo noi a scegliere.
“Sono nata nella sfortuna e ci morirò.” Strazianti le parole che lei stessa scrisse sul suo diario pochi mesi prima di morire ammazzata, da quell’ex compagno da cui poco più di vent’anni fa aveva avuto una figlia. Quella stessa figlia per cui però aveva deciso di alzare la testa, trovando la forza di dire no all’omertà, no al silenzio, no alla sottomissione, no alle nefandezze della ‘ndrangheta, no.
Al contrario, aveva voluto dire un solo sì: sì al desiderio di vivere per il bene assoluto della figlia Denise, mostrandole che al mondo non ci sono solo persone senza scrupoli, e che la vita va vissuta con amore, onestà e dignità.
E sabato 19 ottobre, durante i funerali in onore ella madre, Denise ha detto grazie: “Mamma, se è successo tutto questo è per il mio bene e io, non smetterò mai di ringraziarti.”
Sgorgano copiose le lacrime dagli oltre duemila volti presenti in piazza Beccaria, al passaggio della bara di Lea adornata da fiori e all’udire le note stupende delle canzoni che Lea amava. Spaziano da Battiato e Gaetano, agli Anthony and the Johnsons, ma tutte a modo loro riescono a dare ai presenti qualche indizio in più per conoscere Lea, nel giorno dell’ultimo saluto.
Ai momenti di commozione però, si alternano i momenti per l’ascolto e per i conti con la coscienza.
Dure, forti e severe le parole pronunciate da don Luigi Ciotti: “Non basta commuoversi, perché la colpa non è solo di chi fa male, ma anche di chi non vede, non sente, non parla e non fa! – e ancora “Lea, ti chiediamo perdono se nonostante tutto, non siamo riusciti a proteggerti.”
Del resto don Ciotti ha ragione. Commemorare i testimoni di giustizia, elogiare le persone coraggiose e proclamarsi antimafiosi, non è partecipare a una manifestazione di tanto in tanto. Questo non basta a fermare il “naufragio delle coscienze” di cui parla don Ciotti. Essere antimafiosi per davvero significa prima di tutto vivere il quotidiano in modo onesto, leale e coraggioso, senza essere indifferenti a quello che si ha attorno o ‘far finta di nulla’. Perché guardando semplicemente al nostro quotidiano, conoscere una verità e non raccontarla ad esempio, è omertoso; accaparrarsi un posto di lavoro non per merito ma perchè qualche buona conoscenza ci piazza lì, è una forma di dipendenza personale; e ancora, essere cittadini di un comune appena sciolto per mafia come Sedriano e presentarsi in quattro gatti al corteo per la legalità, significa fare spallucce al fatto che per anni si ha abitato in mezzo alla mafia.
Ma almeno la piazza Beccaria di sabato, è stata un’ancora di salvezza dal naufragio. E’ stata una Milano impegnata, sensibile e consapevole a dare l’ultimo saluto a Lea.
“E non mi abbandonare mai, non mi abbandonare mai.” canta Battiato. No Lea, almeno questa volta non ti abbiamo abbandonato.