La Nigeria è un paese in cui convivono contraddizioni e primati. Colosso demografico, con i suoi quasi 167 milioni di abitanti rappresenta lo stato più popoloso del continente africano nel quale si contano 36 stati federati e più di 250 etnie differenti. Primo produttore africano di petrolio, quattordicesimo su scala mondiale e sedicesimo in ambito Opec, si attesta come il gigante dell’oro nero del continente seguito solo da Algeria, Angola e Libia. Rivestendo un ruolo apicale nella gestione degli affari africani, si configura come potenza predominante dell’Africa occidentale e fulcro della comunità ECOWAS (Economic Community of Western African States), organizzazione che ha assunto un ruolo politico ed economico rilevante in una regione che conta più di 250 milioni di abitanti.
La federazione nigeriana, paese dal massiccio attivismo diplomatico, provvista di grandi riserve di capitale umano e risorse energetiche risulta ad oggi attanagliata da condizioni economiche seriamente precarie da attestarla come uno tra gli stati più poveri al mondo. Sottoposta al predominio britannico prima e in seguito alle angherie dei governi militari succedutisi in combutta con le multinazionali del greggio occidentali operanti sul territorio, la Nigeria è caratterizzata da un radicato sistema clientelare e corrotto di gestione del potere, asservito al capitale privato-cosiddetto Patronage– che ha finito per bloccare la spinta propulsiva del Paese. L’elenco delle vicissitudini politiche nigeriane non può cogliere la complessità di un sistema malsano, la cui eziologia rimane materia per esperti africanisti. Risulta complicato stabilire con precisione il frangente in cui corruzione e criminalità hanno raggiunto il massimo livello e sono assurti a sistema. Strette alleanze tra colonizzatori e capi locali tradizionali già al tempo del dominio britannico rendono l’idea di come corruzione e clientelismo abbiano rappresentato un continuum più che una parentesi circoscritta a un preciso periodo storico. L’incremento degli interessi illegali e delittuosi da parte della popolazione possono essere ricondotti a molteplici fattori che si ripercuotono sulle dinamiche interne e internazionali, tra cui il massiccio ruolo dell’esercito nella vita della Federazione, la multietnicità, il dirompente integralismo, le molteplici aggregazioni clientelari (a tal proposito si vedano i lavori di Piero Innocenti). Senza dimenticare che il crollo del prezzo del petrolio agli inizi degli anni Ottanta, la successiva inflazione incontrollata, nonché l’incessante instabilità politica, hanno inevitabilmente stimolato lo sviluppo di gruppi criminali su di un territorio in cui taluni esponenti politici della classe dirigente militare hanno in quegli anni stretto alleanze con il crimine per evitare di perdere i loro ingenti guadagni.
Quello nigeriano è attualmente uno tra i più efficienti e pericolosi sistemi criminali africani a livello transnazionale. E’ caratterizzato da una struttura orizzontale, specchio dell’assetto politico, legislativo ed economico del Paese di origine, il cui carattere frammentato ha imposto forme organizzative fluide e trasversali. Impossibile darne una definizione univoca, il crimine organizzato nigeriano costituisce un sistema piuttosto che un’unica struttura, composto da cellule di differente caratura criminale organizzate al loro interno da una struttura verticale in grado, al contempo, di agire isolatamente quali componenti di un assetto reticolare. Un’organizzazione priva di una morfologia criminale stabile, all’interno della quale non sono presenti categorie fisse e gerarchie incontrovertibili. Esistono bande criminali che si affiancano a clan più vasti e strutturati, spesso indicati dalla stampa e dalle stesse fonti di intelligence sotto etichette onnicomprensive. Secondo la direzione nazionale antimafia italiana, la struttura criminale nigeriana si potrebbe scindere in bande aggressive, i cults, che derivano la loro legittimazione da organizzazioni strutturate in patria all’interno delle università locali, al fianco di gruppi più articolati e solidi, definiti vere e proprie holding del crimine. E’ noto, invero, come la realtà sia sempre più complessa rispetto alle categorie –eccessivamente oggettivanti benché essenziali a rendere intelligibile un fenomeno – impiegate per descriverla. Infatti, la struttura delle cellule criminali nigeriane varia a seconda dei contesti in cui i clan si trovano a operare, dimostrando una elevata adattabilità ambientale. Ciò che accomuna i diversi gruppi criminali è l’assenza di una reale affiliazione all’organizzazione: chiunque può partecipare, chiunque può essere membro di un clan che si occupa di droga o truffe o ancora sfruttamento della prostituzione. Non bisogna però confondere l’affiliazione al sistema organizzativo reticolare che appare privo di una struttura gerarchica, al processo di affiliazione all’interno di clan che, diversamente, sono spesso dotati di un assetto piramidale. Una criminalità di per sé meritocratica, anche grazie alla sua eterogeneità strutturale: l’esistenza di cellule di minori dimensioni, talvolta dotate di maggiore fluidità, permettono l’assenza di particolari clausole di accesso per i giovani nigeriani, se non una buona dose di intraprendenza e propensione al rischio. Propensione, quest’ultima, strettamente legata a una particolare concezione del futuro: è presumibile che una popolazione vessata da dittature, estrema povertà, precarietà sanitaria, eccessiva violenza in grado di sfociare in atti di vera e propria oclocrazia di piazza, possegga una prospettiva di vita improntata sul presente e sia di conseguenza maggiormente incline ad azioni rischiose.
La compagine nigeriana opera su diverse piazze criminali mondiali, attraverso le comunità presenti in molteplici Paesi quale effetto della diaspora che ha coinvolto la popolazione della Federazione. Si tratta di una rete criminale dotata di un centro, in Nigeria, rappresentante il crocevia di traffici illeciti che coinvolgono anche svariati stati europei, tra cui l’Italia. Relativamente alle etnie coinvolte nelle attività illecite del sistema criminale nigeriano è possibile affermare che sfruttamento della prostituzione e traffico di droga rappresentano tendenzialmente ambiti illegali tipici degli appartenenti all’etnia Igbo, mentre truffe e frodi telematiche sono realizzate per la gran parte da esponenti di etnia Yoruba. Ciò che con fare schematico si potrebbe definire il sistema delle tre D, costituito da donne, droga e denaro quale introito derivante dai due principali mercati illegali coinvolti, rappresenta l’insieme dei traffici nigeriani che interessa anche la nostra Penisola, sia come meta di destinazione, sia quale punto di transito verso altri paesi europei.
Le molteplici contraddizioni a capo dello stato nigeriano sono in grado di creare stupore di fronte alle anomalie che comportano, e il mercato degli stupefacenti ne rappresenta un esempio se si ricorre a un parallelismo con il mercato del greggio locale. La Federazione si trova a essere un grande importatore di petrolio di cui ne rappresenta il primo produttore africano e, al contempo, a detenere il controllo di una vasto segmento del mercato della droga esportandola in diverse aree del mondo, pur non essendone produttore. Si tratta dunque di un sistema criminale sagace, le cui attività illecite costituiscono business intrecciati che si alimentano vicendevolmente. La gestione dei traffici è caratterizzata da una tendenziale spartizione di genere: il mercato del sesso è guidato da vertici femminili, mentre il mercato della droga è prelazione degli uomini dell’organizzazione. Sostenere l’esistenza di una netta separazione delle competenze criminali si dimostra comunque una valutazione parziale in quanto la presenza di donne nel traffico di stupefacenti e di uomini particolarmente attivi nell’attività di trafficking rende sempre meno scontata la variabile di genere relativa alle singole attività delittuose, le quali sono componenti di una struttura economica criminale sempre più integrata.
Donne e droga costituiscono due merci remunerative, la cui differente valenza appare chiara secondo un ragionamento che esclude la logica del profitto. L’Italia rappresenta la principale piazza di sfruttamento delle donne nigeriane, le quali giungono principalmente dallo Stato meridionale di Edo. Vengono sfruttate da loro connazionali, le madame, le quali sono ex vittime di tratta entrate a far parte del medesimo circuito criminale da cui sono state assoggettate. Quello nigeriano costituisce dunque un sistema criminale complesso, in cui le donne tuttora detengono un ruolo centrale nel traffico e sfruttamento della prostituzione di connazionali che, solo apparentemente, si scontra con la posizione di sudditanza della donna frequente nella realtà quotidiana della Nigeria. Anche la componente religiosa, spesso oggetto di interpretazioni riduzionistiche ed etnocentriche, rappresenta un elemento centrale della vita dei nigeriani e di conseguenza dell’attività criminosa. Il sincretismo religioso, quella commistione di riti pagani e cristiani esito del processo di colonizzazione britannica, si inserisce nelle pratiche di assoggettamento messe in atto dalle madame nei confronti delle donne sfruttate sulle strade europee, ma riguarda anche gli stessi narcotrafficanti che si affidano ai riti tradizionali per “benedire” le partite di droga trafficate.
Il fenomeno criminale in questione esige strumenti interpretativi e fonti diversificate, che spazino dallo studio del contesto attuale alla storia politica economica e sociale della Nigeria, senza svilire componenti culturali centrali alla comprensione di una realtà illegale legata in primis al racket della prostituzione che ci riguarda direttamente essendo l’Italia la principale meta europea dello sfruttamento sessuale di strada.