di Flavia Famà – Libera Internazionale
Oggi è il primo maggio e anche qui è la festa dei lavoratori che in migliaia marciano sul Paseo de Reforma verso il Zocalo, la piazza principale del centro storico di Città del Messico. Mi sono messa in marcia anche io e sono capitata accanto ad un gruppo di insegnanti precari di Oaxaca, Michoacan e Guerrero che da anni si oppongono duramente alle riforme del sistema educativo del Governo.
La mia mente per un momento è volata a Portella della Ginestra dove il primo maggio del 1947 si è consumata una strage. Mentre i contadini stavano celebrando la festa dei lavoratori qualcuno sparò sulla folla, tante le vittime, 11 morti e 27 feriti, un esecutore materiale accertato, Salvatore Giuliano, ma ancora molte le ipotesi sui veri mandanti e troppi ancora i misteri.
La strada è presidiata da agenti di polizia in tenuta antisommossa con armi, scudi ed estintori a portata di mano.
La situazione mi é sembrata tranquilla fino a quando ho iniziato a sentire dei cori dall’altro lato della strada, mi sono voltata ed ho visto dei ragazzi incappucciati, vestiti di nero e con le bandiere anarchiche. Ho deciso che era il momento di allontanarsi così ho preso la metro ed ho raggiunto il resto del gruppo per un paio di ore di svago, a Coyoacan, un quartiere ricco di intellettuali e di artisti.
La piazza principale è coloratissima, piena di gente, i bambini giocano sereni ed i turisti passeggiano in cerca di qualche souvenir, lontani dalle grida dei manifestanti.
Sembra una scena di un film anni ’50 con il sottofondo musicale di uno strano strumento a manovella, un’atmosfera rilassante, opposta a quella del centro, dove nel frattempo sono iniziati i primi scontri.
Città del Messico è un luogo pieno di contraddizioni, qualche chilometro di distanza e ci si trova in realtà lontanissime tra loro. Mi ha ricordato la mia amata Sicilia e Catania, la mia città, una terra meravigliosa dove spesso si cambia tutto per non cambiare niente.
Oggi è anche il momento dei saluti, si conclude l’esperienza di “Giramondi” e di “Atrevete Mundo!”, il gruppo di volontari italiani che ha affiancato gli operatori del Cauce.
Ripenso a ieri pomeriggio quando siamo usciti per strada nel loro barrio e Uriel, uno degli operatori, ha steso un tappeto con un vaso pieno di terra, un mucchietto di pietre, la maschera di un giaguaro, simbolo del Messico, e due maschere di due volti di donne una bianca e una nera per il rituale della Pacha Mama con il quale si ringrazia e si restituisce alla Madre Terra il nutrimento che essa fornisce.
Ognuno di noi ha versato un po’ d’acqua su tutti gli elementi e ha espresso a voce alta i propri ringraziamenti per l’esperienza di conoscenza e di condivisione vissuta in questi giorni e ha scritto su una foglia l’impegno che da quel momento in poi ha deciso di assumere.
Io ho ringraziato per aver avuto la possibilità di conoscere le storie dei familiari delle vittime innocenti della guerra dei narcos e dei desaparecidos ed ho assunto l’impegno di fare memoria anche dei loro cari.
Ho ringraziato Carlos Cruz, fondatore di Cauce, i suoi operatori e Claudia Cruz, referente di Libera in Messico, per il loro impegno profondo e quotidiano nella prevenzione sociale e nel recupero dei giovani dei quartieri più disagiati ed ho promesso di far conoscere la loro esperienza affinché sempre più persone possano sostenerli.
Il Messico è il maggior distributore di cocaina nel mondo ed ogni volta che la si compra si paga il proiettile che ucciderà chi come Carlos ed i suoi operatori lotta contro il narcotraffico.
Ogni nostra azione, anche la più piccola, produce degli effetti su tutto ciò che ci circonda e ognuno di noi ha la possibilità e la responsabilità di scegliere che uragano provocare con il proprio battito d’ali.