di Ilaria Franchina
Emilio Di Giovine, ‘ndranghetista anomalo per formazione e vocazione, passa la vita a infrangere tutti i limiti e legami possibili: dalle evasioni dal carcere – se ne contano tre- al rifiuto dei legami sentimentali.
Per quanto lui stesso si dipinga come un Don Giovanni, uno spirito libero che né la ‘ndrangheta- non è mai stato formalmente affiliato- né le donne- frequentate in grande numero senza legarsi mai a una relazione duratura – sono riuscite a domare, a una lettura più attenta si può osservare una realtà ben differente.
La vita di Emilio Di Giovine, in particolare la sua ascesa nel mondo criminale, fu possibile grazie alla volontà e al duro impegno della madre, vero capostipite nobile del nucleo familiare, Maria Serraino è colei che fonda e dirige il clan da Piazza Prealpi. È lei, affarista spietata – mai pentita- a costruire e mantenere l’impero dei Serraino- Di Giovine a Milano. Senza di lei, il padre, ex agente penitenziario, non avrebbe mai potuto garantire la credibilità criminale ad Emilio. Quella di Emilio è una vera mamma santissima: tutti sanno che a comandare è lei, la “signora”. Maria Serraino è madre che dà la vita e nutre i propri figli e allo stesso tempo condanna a morte i figli altrui. È la perfetta donna di casa che mette il cibo in tavola per la famiglia e- senza apparentemente percepire alcuna contraddizione- cucina le basi da impacchettare con le dosi di hashish cocaina ed eroina da vendere in strada.
Così come dalla famiglia proviene la spinta vitale criminale così dal suo stesso sangue proviene la pugnalata al cuore dell’organizzazione: sarà la sorella di Emilio, Rita, anch’essa figlia di Maria Serraino, a intraprendere per prima la collaborazione con la giustizia. Rivelerà i segreti e le dinamiche interne dell’organizzazione che getteranno le basi dell’inchiesta guidata dal Procuratore della Repubblica di Milano Maurizio Romanelli che decapitò il sistema criminale di Piazza Prealpi.
E, infine, un’ultima donna, una ragazzina giovanissima, la figlia. Non la primogenita, nata nel 1970 e arruolata nelle fila dell’organizzazione, ma quella nata nel 1992. La vita, una nuova nascita, può laddove la morte stessa non era stata in grado di fermare la cupidigia criminale del boss. Emilio infatti sopravvive a una sparatoria nella quale troverà la morte la sua giovane compagna dell’epoca, incinta della loro figlia. Una morte che, seppur dolorosa, non arresterà la carriera criminale del boss. Riescono a farlo invece le parole della figlia, che spingono Emilio lungo la strada della collaborazione. È il potere di un affetto, quello per una figlia innocente e orfana – anche la madre, sodale di Emilio, era finita in carcere – a smuoverne l’animo. Grazie a lei si spezza l’impietoso meccanismo di autorigenerazione ‘ndranghetista. La speranza di una nuova giovane vita riesce a far tacere la potente voce della matriarca della famiglia, fino a quel momento Domina senza rivali della vita di Emilio.
Questa è la storia di Emilio di Giovine, classe 1949, ma anche di Maria, di Rita, e di sua figlia.
A raccontarla è lui stesso, oggi anche pubblicamente – ha scontato la sua pena, ridotta grazie alla collaborazione- , come fanno spesso i protagonisti della vita criminale degli anni passati, aiutati oggi dall’oblio della memoria pubblica. Tale oblio consente loro di dipingere la propria vita da mafiosi come un’affascinante avventura romantica. Può essere somministrata così all’opinione pubblica solo se si sceglie di dimenticare che per l’impero criminale che gli ha permesso di vivere nel lusso, comprare evasioni, governare i traffici criminali di Milano, lui ha pagato con il carcere, ma in tantissimi hanno pagato, per lui, con la morte. Il romanticismo del bandito si può vendere solo omettendo che per un “signore della droga” vi sono centinaia di vittime e di famiglie a loro vicine piegate e piagate dalla merce che ha reso ricco il boss. Per non parlare della violenza e dei danni sociali che un impero criminale può infliggere a una democrazia e ai suoi cittadini. A lui dipingersi protagonista di thriller di avventura, a noi tenere ben salda la bussola della memoria.
Emilio Di Giovine è stato un esponente di spicco della ‘ndrina Serraino – Di Giovine che si insediò a Milano verso la fine degli anni Sessanta. Gli affari della famiglia si concentravano attorno a Piazza Prealpi, nella zona di Quarto Oggiaro, nel nord-ovest della città, come metterà in luce l’operazione “Belgio” condotta nel 1994 da Maurizio Romanelli, Procuratore della Repubblica di Milano. La ‘ndrina Serraino è una cosca calabrese di spicco, insediata a Cardeto, in provincia di Reggio Calabria. Al suo vertice troviamo Francesco “Ciccio” Serraino detto “il re della montagna” che, come racconta Emilio, deteneva il potere di decidere gli omicidi da compiere anche in territorio Lombardo. A dominare la ramificazione milanese è Maria Serraino, madre di Emilio, che ne dirige gli affari: inizialmente contrabbando di sigarette e traffico di auto rubate e in seguito traffico di droga e di armi. Emilio, negli anni, si affermerà come il “re dell’hashish di Milano” e finirà per affrontare oltre trent’anni di carcere, di cui sette sotto il regime 41 bis, fino alla scelta della collaborazione avvenuta nel 2003.
Per approfondire la storia di Emilio Di Giovine è prezioso il volume a cura di Ombretta Ingrascì, con la prefazione di Enzo Ciconte “Confessioni di un Padre”, edito da Melampo (2013). Consigliamo inoltre le due puntate della trasmissione Rai “Cose Nostre” a cura della redazione di Emilia Brandi che si sono occupate delle vicende della cosca Serraino-Di Giovine. Sono le puntate: Legami di Sangue del 29/07/2021 e Nel nome del padre del 29/11/2021