Beni sequestrati, confiscati e destinati all’uso sociale. Le normative, le informazioni e le notizie  su questo aspetto così significativo della lotta antimafia costituiscono un punto oscuro o confuso per molti. La provincia di Milano conta 562 beni confiscati alla criminalità organizzata di stampo mafioso: cosa  vuol dire? Come si opera? Cerchiamo dunque di capirne di più con Davide Pati, responsabile per Libera di questo settore.

La valutazione economica dei beni confiscati alla mafia: chi fa questa valutazione? E secondo quali criteri? Al momento non se ne sa molto:  in particolare,  molti enti o associazioni che vogliono avere queste informazioni non sanno né come ottenerle né se i dati riportati siano effettivamente attendibili.

Partiamo da quando le forze di polizia e la magistratura annunciano i dati sui vari sequestri. Durante le conferenze stampa che vengono indette si dice ‘sequestrate quote societarie, sequestrate  imbarcazioni, autoveicoli e conti correnti per un valore di tot. centinaia o milioni di euro’. Questa è la fase del sequestro. Il sequestro ha un iter giudiziario che può portare o meno alla confisca di primo grado e poi, a seguire, la confisca definitiva. Le valutazioni che vengono fatte in quel primo momento molto spesso non coincidono con le valutazioni che vengono fatte nei momenti successivi. Innanzitutto è da dire che non c’è al momento nel nostro paese una valutazione complessiva di tutti i beni sequestrati e confiscati. Qui si aggiunge una complessità riguardante le varie procedure di sequestro e di confisca che possono avvenire secondo le misure di prevenzione o secondo altre leggi del codice penale con i vari tipi di sequestro previsti nel nostro paese. Questa è una delle criticità. L’altra è che, seppur ci siano stati diversi tentativi, non c’è ancora un sistema informativo che mette in relazione tutti i soggetti che hanno il compito di proporre i sequestri nel nostro paese, quindi la DIA, la Procura, la Questura – i principali –  e poi i tribunali, le varie cancellerie dei tribunali: in definitiva, non c’è un sistema informativo che permette di dare una completezza di informazioni. Rispetto invece ai criteri che vengono utilizzati per fare quelle stime, quelle valutazioni economiche vengono fatte da tecnici che appartengono ai vari uffici competenti presenti sul territorio: a seconda poi dei vari passaggi,  gli uffici e i tecnici hanno competenze diverse. Sono dunque dei tecnici che secondo il valore di mercato stimano quello del bene. L’agenzia nazionale, che è stata istituita per coordinare tutto il lavoro, le competenze in materia di gestione, di amministrazione e destinazione di beni, dovrebbe avere il compito, come la legge prescrive, di fare chiarezza anche su questo versante. Quindi è importante che l’agenzia venga dotata anche di una struttura informativa per colmare questa lacuna. So peraltro che è stato finanziato un progetto del pool sicurezza del Ministero dell’Interno a tal proposito.

Un’altra informazione che si fatica a reperire è questa:  prendiamo un’associazione che lavora nel sociale e che intende richiedere un bene confiscato per usarlo come sede legale. C’è un iter che deve seguire per vedersi assegnare il bene? Pare che manchi un vademecum, in questo senso.
Qual è poi l’ente pubblico che assegnerà questi beni? È il Comune, lo Stato, la Provincia?

Sicuramente tra le criticità più importanti relative alla gestione dei beni confiscati, quelle dette sono le principali. Il deficit di informazione sulla presenza dei beni confiscati in un determinato territorio, comune, provincia, quartiere, ha costituito, fino a qualche tempo fa, una mancanza di trasparenza nelle procedure di assegnazione. Il deficit di informazioni riguarda anche la conoscenza di quali sono i beni confiscati. Noi abbiamo proposto come Libera, l’anno scorso, in occasione dell’approvazione della legge sull’Agenzia Nazionale, che ogni comune rendesse pubblico l’elenco dei beni confiscati con le modalità che ritiene più opportune.

Quindi l’ente a cui  alla fine arriva il bene è il Comune che poi, con criteri che lui decide, assegnerà questi beni.

Il Comune deve rendere pubblico l’elenco. Questo  risponde a quel principio di partecipazione e democrazia a cui noi ci siamo ispirati nella raccolta di firme per l’approvazione della legge. E poi c’è la trasparenza nelle procedure di assegnazione perché la legge, costitutiva dell’agenzia, dice che gli enti – in questo caso il Comune – devono assegnare i beni alle associazioni e alle cooperative, quindi agli enti privati sociali garantendo i principi di trasparenza, pubblicità e parità di trattamento, adottando tutte quelle procedure regolamentari e di pubblicità per l’assegnazione. Questo è stato fortemente chiesto da Libera, dato che in  questi anni non sempre questi principi sono stati rispettati;  e questo in linea con l’importanza di una legge per l’uso sociale dei beni confiscati. Sapere che in un quartiere ci sono certi beni confiscati significa anche sapere la storia criminale di quel quartiere e quindi lavorare insieme alla creazione di alternative di carattere sociale, economico, culturale. La trasparenza nelle assegnazioni è importante perché previene la possibilità che terzi prestanome possano riprendersi i beni.

 

 

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