di Monica Forte
Recentemente, invitata ad un convegno pubblico sul tema del conflitto di interessi, ho avuto occasione di approfondire la disciplina in materia evidenziando quello che secondo il mio parere è a tutti gli effetti un vacuum normativo. Innanzitutto è bene precisare che la disciplina sul conflitto di interessi ha un approccio preventivo cioè interviene prima dell’azione amministrativa avendo come scopo quello di prevenire ed evitare il rischio reale, potenziale o apparente di far prevalere l’interesse secondario, ovvero personale o di terzi, sull’interesse primario cioè quello pubblico.
Pertanto si tratta di fatto di una situazione di rischio e non di un comportamento che genera un danno. Un esempio concreto è l’ipotesi in cui un funzionario, operante in nome o per conto della stazione appaltante, che interviene a qualsiasi titolo nella procedura di gara pubblica, sia parente di un imprenditore che abbia interesse a partecipare, per la sua professionalità, alle gare della stazione appaltante. Non si valuta ex post se il funzionario abbia o meno agevolato il parente nella procedura di gara, ma ex ante se sussista anche solo il rischio potenziale di interferenza tra la sfera istituzionale e quella personale del funzionario pubblico. Le decisioni che richiedono imparzialità di giudizio non possono venire adottate da un soggetto che abbia anche solo potenzialmente interessi privati in contrasto con l’interesse pubblico.
Rispetto all’esempio citato la disciplina amplia molto la sfera di rischio potenziale dettagliando come l’interesse personale può essere di natura finanziaria, economica o dettato da particolari legami di parentela, affinità; convivenza o frequentazione abituale con i soggetti destinatari dell’azione amministrativa valutando non solo se si metta in pericolo l’adempimento dei doveri di integrità, indipendenza e imparzialità del funzionario, ma considerando, altresì, il pregiudizio che potrebbe derivare al decoro e al prestigio dell’amministrazione di appartenenza.
In tutti questi casi la disciplina prevede che il soggetto auto certifichi il proprio potenziale conflitto di interessi (in caso contrario i preposti al controllo possono intervenire e fare una valutazione d’ufficio) e che l’amministrazione provveda a prevenire il rischio ad esempio spostando temporaneamente il dipendente o il dirigente ad altre funzioni. Tutto chiaro, quindi, e anche logico in un’ottica di autotutela dell’amministrazione pubblica.
Allora mi chiedo: perché non si prevede, per gli stessi funzionari pubblici o soggetti dell’amministrazione pubblica, una fattispecie specifica di conflitto di interessi laddove sussistano legami di parentela, affinità, convivenza o frequentazione abituale con soggetti mafiosi?
In fondo è lo stesso principio precauzionale a cui si ispira lo strumento dell’interdittiva antimafia, difatti provvedimento amministrativo di natura preventiva, che si applica ex ante e che, pur non violando la libertà di iniziativa, esclude l’imprenditore da contratti con la Pubblica Amministrazione a fronte della sussistenza di circostanze che possano determinare infiltrazione mafiosa. Nessun reato, ma notizie di potenziale infiltrazione mafiosa a fronte delle quali la pubblica amministrazione tutela se stessa e l’interesse pubblico.
Eppure ricordo il caso recente di un comune della provincia di Milano dove il sindaco ha affidato le deleghe al commercio, sanità e vaccini Covid al fratello di un mafioso condannato in via definitiva. Ebbene, quello non era un palese ed evidente caso di conflitto di interessi? Il fatto di essere fratello o parente di un mafioso, o di avere rapporti abituali con mafiosi o frequentare abitualmente ambienti mafiosi, perché non si traduce in un rischio per l’agire amministrativo, per l’imparzialità della funzione pubblica, per la salvaguardia dell’immagine della pubblica amministrazione, per la tutela del valore etico della funzione pubblica?
Qui si diventa possibilisti e si considera la cosa poco impattante sugli esiti della azione pubblica. Eppure l’interesse delle mafie per gli appalti pubblici e per l’azione amministrativa è storicamente dimostrata e non usano più atti di coercizione e intimidazione per raggiungere i propri obiettivi, ma instaurano rapporti di reciproco interesse, di cointeressenza con dipendenti, funzionari, dirigenti e amministratori pubblici a tutti i livelli istituzionali, fino al caso limite di riuscire ad inserire un membro della famiglia direttamente nell’amministrazione pubblica. E ciascun membro vi abbia accesso continuerà a rispondere alle prescrizioni dell’organizzazione, della famiglia, e a fare i suoi interessi.
Eppure nonostante ciò nelle numerose fattispecie di potenziale conflitto di interesse individuate dalla disciplina in materia, non esiste al momento una previsione simile che colleghi il tema del potenziale conflitto di interessi alle strategie mafiose. Com’è possibile? Possiamo ancora giustificare queste “dimenticanze” con la mancanza di conoscenza delle strategie mafiose? Io, in tutta franchezza, credo di no!