L’impegno delle donne nella lotta alla criminalità organizzata è stato al centro di un incontro che ha visto alcune testimoni confrontarsi con gli alunni del Licei milanesi.
La notte del 19 luglio, poche ore prima che un’autobomba facesse saltare in aria lui e un pezzo importante dello stato, Borsellino si scusava con una professoressa per non essersi potuto presentare a un incontro con i ragazzi delle scuole. Forse è anche per questo che oggi gli studenti che riempiono l’aula magna del polo universitario sestese di Mediazione Linguistica e Culturale sono così pieni di entusiasmo.
E’ il 23 maggio 2011: esattamente 19 anni fa Giovanni Falcone, infaticabile collega e fedele amico di Borsellino, moriva per mano mafiosa. Insieme a lui gli uomini della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. E una donna, la collega e compagna di vita di Giovanni Francesca Morvillo.
E’ proprio la donna al centro dell’incontro “Intelligenza, impegno e coraggio di donne contro la mafia”, organizzato dal Coordinamento delle scuole milanesi per l’educazione alla legalità e alla cittadinanza attiva in collaborazione con Libera, nell’ambito della settimana contro le mafie a Milano. E sono donne le relatrici che fremono per raccontare e condividere la propria esperienza con le nuove generazioni, cresciute nel falso mito della mafia “che a Milano non esiste”.
“No, non è così” tuona l’assessore con delega all’educazione e alla cultura Monica Chittò, che porta il saluto del Comune di Sesto San Giovanni. “La mafia è ormai arrivata anche da noi, penetrando o cercando di penetrare in tutte quelle attività che muovono l’economia”. Due beni cittadini recentemente confiscati ai clan – destinati rispettivamente all’ “Informagiovani” e a un centro di accoglienza per le donne maltrattate – e il barbaro assassinio di Lea Garofalo – moglie pentita di un boss della ‘Ndrangheta della quale due ragazze del Virgilio recitano il disperato grido d’aiuto – sono lì a testimoniarlo.
E’ lì a testimoniarlo anche Maria Josè Falcicchia, vice questore aggiunto della Polizia di Stato a Milano, che rivela i dettagli di quell’ “Operazione Crimine” che ha smascherato l’imponente e capillare diffusione della ‘Ndrangheta in tutto il nord Italia. Dettagli che descrivono una situazione allarmante, fatta di militarizzazione del territorio, intimidazioni a imprenditori, incendi e sabotaggi nei cantieri e che hanno visto affibbiare a Buccinasco, comune dell’Hinterland milanese, il triste soprannome de “l’altra Platì”.
La ricetta per combattere efficacemente questa penetrazione, come suggeriva Falcone, è semplice solo in apparenza: “fare fino in fondo il proprio dovere”.
Silvana Fucito, Presidentessa del Coordinamento delle associazioni Antiracket e Antiusura campane, il senso del dovere l’ha sempre avuto, insieme a una notevole dose di coraggio. Quello che le ha dato la forza di recarsi da sola – lei, donna combattiva ma minuta – nella casa del boss camorrista che taglieggiava la sua impresa di vernici e che il 19 settembre 2002 la fece dare alle fiamme. Quello che l’ha convinta a denunciare l’intimidazione mafiosa, con tutti le conseguenze che questa scelta ha comportato: la perdita dei rapporti con quasi tutti gli amici e i parenti, la rabbia degli abitanti del quartiere in cui la sua impresa operava e quella continua paura di ulteriori ritorsioni che l’assegnamento di una scorta non ha certo potuto eliminare.
Poi la svolta: un’intervista concessa a un giornalista francese e il riconoscimento dell’onoreficenza di “eroe europeo”, che fa da vero e proprio traino agli altri imprenditori campani, il cui numero di denunce è passato dalle 4-5 del periodo precedente alla sua denuncia alle 1800 all’anno. La dimostrazione che, anche grazie all’esperienza e al coraggio dell’imprenditrice campana, la gente ha capito da che parte stare: dalla parte dello Stato che “se chiami c’è, tanto che oggi è la Camorra che deve avere paura”. A giudicare dal trasporto con cui la giovane platea di studenti segue l’intervento della Fucito e dalla standing-ovation che le riserva, sembra proprio così.
Le testimonianze delle ospiti si susseguono, intervallate dalle toccanti parole – recitate con eccezionale bravura e trasporto dalle ragazze del Volta, del Virgilio, del Severi e del Leonardo – di quelle donne che alle organizzazioni criminali di stampo mafioso si sono opposte strenuamente.
Come Maria Ferrucci, “sindaca” – ci tiene a rivendicarlo – del Comune ad alta intensità di infiltrazione mafiosa di Corsico, che a queste organizzazioni si oppone ogni giorno. “A Corsico la ‘Ndrangheta, pur di entrare nella maggioranza di governo si allea indifferentemente con i partiti di destra e sinistra, costituendo liste civiche zeppe di uomini di fiducia o addirittura affiliati ai clan. Per questo – ammonisce – è indispensabile rimanere vigili: come ricorda Nando Dalla Chiesa, gli alleati più cari alle organizzazioni criminali sono i cretini, coloro che, non conoscendo il fenomeno, sono inconsapevolmente funzionali alle logiche delle cosche”.
Per questo – conclude Antonella Mascali, la giornalista del Fatto Quotidiano che ha fondato sulle inchieste sulla criminalità organizzata la sua brillante carriera – “Antonino Caponnetto diceva che la mafia teme di più la scuola che la giustizia”: perché la scuola è il luogo dove il seme della cultura antimafiosa, della legalità e della giustizia può germogliare nel modo più fecondo, ponendosi a fondamenta di una più sana società del futuro.
Questo incontro sembra averlo dimostrato.