Nato a Siracusa, laureato presso la Facoltà di Scienze Politiche di Catania. Si occupa di legalità, ambiente e diritti umani. Ha pubblicato inchieste con diverse testate, tra cui l’Unità, Micromega.net, Liberainformazione, Terre di Mezzo ed Altreconomia, L’Isola Possibile e Left.  Ha collaborato con RadioRai1 per due puntate speciali sui fatti di Rosarno e sull’immigrazione.  Dirige il sito web di informazione e dibattito, www.ilmegafono.org.
Al Festival dei Beni Confiscati presenterà “Dove Eravamo”, sabato 10 Novembre alle ore 18 presso il bene confiscato in Via Cenisio, 25 a Milano

 

Dove eravamo” raccoglie diversi racconti di magistrati, giornalisti, poliziotti che ricordano i due giudici Falcone e Borsellino. Quali sono state le ragioni che l’hanno spinta a raccogliere le venti testimonianze; si tratta di pagine di memoria?

No, non sono solo pagine di memoria, ma pagine che raccontano ciò che ha rappresentato quel momento storico; trasportate nell’attualità per sottolineare ciò che simboleggia quel drammatico evento a distanza di venti anni. In quanto giornalista siciliano che si occupa anche di antimafia, mi è apparso doveroso ricordare quei momenti tragici perché proprio da quei momenti è cambiata completamente la storia del nostro Paese. Ho fatto ciò coinvolgendo 20 persone di vario ambito per offrire una visione complessiva di come l’Italia ha vissuto quegli eventi. Inoltre si inserisce una riflessione, un ragionamento sulla situazione dell’Italia attuale e soprattutto sull’eredità delle stragi e su quanto si è figli della trattativa emersa subito dopo e confermata nel corso degli anni dai processi.

La storia è davvero cambiata con la morte dei due giudici, come sostiene il professor dalla Chiesa nella sua testimonianza? Si può dunque affermare, come lei ha fatto nel proprio racconto, che la morte non rappresenta una conclusione?

La storia di Falcone e Borsellino ci ha insegnato che con la morte fisica non viene meno un’idea.  Quella morte, infatti, ha determinato e sviluppato una serie di reazioni in una Sicilia che aveva già reagito in altre occasioni, come ad esempio con la morte del generale dalla Chiesa, ma si trattava di reazioni che hanno conosciuto una sorta di riflusso. Quel momento drammatico e mediaticamente forte, invece, ha completamento sovvertito l’ordine delle cose in Sicilia poiché proprio da quel momento è nata una coscienza antimafia, non solo in Sicilia ma anche nel resto del Paese.

Falcone e Borsellino sono diventati dei simboli dell’antimafia, non solo per le vecchie generazioni ma anche per le nuove, come considera a tal proposito l’associazionismo antimafia, e in particolar modo quello giovanile?

L’associazionismo è un elemento fondamentale perché la mafia si combatte su due fronti: uno è quello repressivo, che si esprime tramite le azioni delle forze dell’ordine ma anche attraverso leggi appropriate, scoraggiando in tal modo, come sostiene dalla Chiesa, convergenze politiche che conducano a un modo particolare di fare leggi e a favori svolti più o meno consapevolmente nei confronti delle organizzazioni criminali. L’altro fronte è quello culturale, e qui bisogna partire proprio dai giovani. L’associazionismo è dunque un elemento cruciale, fondamentale in questa lotta, anche se da solo non basta; è un elemento che deve continuare a crescere puntando il proprio accento più spesso sui fatti concreti e meno sulla semplice dialettica.

Il suo libro sarà presentato a Milano durante il Festival dei beni confiscati, cosa ne pensa dell’iniziativa, nata tra l’altro in uno dei territori, quali la Lombardia, più compromessi dalla presenza mafiosa?

Era ora. Finalmente in una città come Milano si organizzano iniziative del genere. Forse è arrivato il momento in cui si aprono gli occhi a Milano; sembra quasi che la presenza mafiosa in questa città sia un evento di recente datazione, mentre in realtà è da lungo periodo, a partire dagli anni ’70, che la mafia esprime la propria necessità di investire il denaro in un luogo come quello di Milano che da sempre costituisce la capitale industriale e finanziaria di tutto il Paese. Si tratta infatti di un tessuto economico ritenuto adatto al riciclaggio di denaro da parte della mafia. Milano è diventata un terreno fertile, caratteristica testimoniata negli anni dalle numerose e importanti inchieste, dagli omicidi e da una sconfinata bibliografia. Il Festival dei beni confiscati rappresenta dunque un segnale importante; il fatto che si facciano dei festival su qualcosa che è stato strappato alla mafia e riconsegnato alla città, alla cultura è un profondo segno di speranza.

 

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