di Lara Zotti
Luca Rinaldi, giornalista pubblicista, presenterà al Festival dei Beni Confiscati a Milano il suo primo eBook: “Antimafia senza divisa” Blonk Editore, nella giornata di sabato 10 Novembre alle ore 16 presso l’associazione “Il Balzo” in via Ceriani,14 e domenica 11 Novembre sempre alle ore 18 presso la Comunità di San Patrignano in via del Mare 185/187. Al dibattito saranno presenti anche Ana Pace e i suoi studenti di Milano Lingue (Fondazione Milano®) che hanno curato la traduzione in spagnolo.
Il suo e-book “Antimafia senza divisa” sarà presentato al primo Festival dei beni confiscati alle mafie di Milano, un’occasione importante, che si propone di coinvolgere la cittadinanza nella gestione e valorizzazione di un patrimonio restituito alla società e che, quindi, va anche a toccare il filo rosso del suo libro, l’impegno civile. Cosa ne pensa di questa iniziativa del Comune?
Credo sia una iniziativa importante, presa da un Comune dove le precedenti amministrazioni avevano fatto del negazionismo sul fenomeno mafioso un motivo quasi d’orgoglio, senza prestare attenzione al continuo avanzare della criminalità organizzata in città. Un fenomeno per altro presente a Milano da mezzo secolo e che, purtroppo, ha trovato sempre più terreno fertile anche e soprattutto in parti della classe economica-imprenditoriale, fino ad arrivare a quella politica. Per cui organizzare un evento in cui si riaffermi che il maltolto è di nuovo nella disponibilità della cittadinanza è sicuramente positivo, ora però l’amministrazione e le istituzioni tutte andranno continuamente sollecitate perché questo patrimonio torni a essere veramente utile e disponibile per la società e non soltanto una ‘festa’ provvisoria.
Protagonisti delle sei interviste che compongono il suo libro sono persone e professionisti molti diversi: il giornalista Pino Maniaci, l’attore Giulio Cavalli, Christian Abbondanza della Casa della legalità, l’imprenditore testimone di giustizia Pino Masciari, Don Aniello Manganiello parroco per anni a Scampia, Aldo Vincenzo Pecora di Ammazzateci Tutti. Perché raccontare questa antimafia?
Lavorando nel mondo dell’informazione mi accorgo che spesso essendo presi dagli eventi della cronaca, anche quella sulle mafie, delle inchieste e della giudiziaria, si fatica a occuparsi delle persone comuni che vengono coinvolte nell’operato illegale delle organizzazioni criminali. Spesso infatti leggendo le inchieste e cronache sembra un problema spesso lontano dalla cosiddetta società civile. Per questo motivo ho scritto “Antimafia senza divisa”: per dare voce ad alcune testimonianze, che sono le testimonianze di tutti e per arrivare all’assunto che mafie e illegalità interessano tutti, tutti i giorni, e non solo guardie e ladri, ma anche cittadini. Cittadini che non si devono sostituire alle guardie, ma che con le loro scelte di vita e di lavoro possono dare una grossa mano al contrasto del fenomeno mafioso e dell’illegalità.
In molte delle storie degli intervistati le istituzioni vengono delineate come impreparate ed incapaci, se non anche conniventi, di fronte al potere criminale, si pensi alle denunce mosse da Don Manganiello verso l’indifferenza della Chiesa o a quella di Pino Masciari verso l’incapacità dello Stato di garantire una vita dignitosa ad un testimone di giustizia. Quanto è grande il divario esistente tra istituzioni e realtà, e quanto è conseguenza di tale divario l’opera di questa “antimafia senza divisa”?
Purtroppo le istituzioni viaggiano in ritardo su questi temi, sono sempre viaggiate in ritardo, e sembra che il crimine sia sempre un passo avanti. Per certi versi è desolante, come lo è per alcuni aspetti il racconto che gli intervistati di “Antimafia senza divisa” hanno rilasciato. Il divario tra il lavoro delle istituzioni e la realtà del fenomeno c’è, è esistente e persistente. Ci sarebbero mille episodi da citare sul ritardo della legislazione antimafia, ma ne cito uno base che ho sentito spesso nominare anche dal magistrato Nicola Gratteri: è quello dell’esecuzione delle notifiche via posta elettronica, cosa che invece oggi fa viaggiare in giro per l’Italia ufficiali di polizia giudiziaria come postini, togliendoli prima di tutto dalla loro funzione primaria di polizia giudiziaria appunto, e in seconda battuta di ritardare notevolmente le procedure, oltre che caricare il sistema di costi di automobile e carburante.
In “Antimafia senza divisa” uno degli aspetti che mi ha colpito una volta chiuso il testo era proprio quello della proposta. Ne sono uscite alcune interessanti, in particolare nelle interviste fatte a Christian Abbondanza dalla Casa della Legalità di Genova e a Giulio Cavalli. Su questo divario bisogna comunque sempre tenere sulla corda le istituzioni, e, ahinoi, mi sembra che leggendo le proposte programmatiche dei futuri candidati a guidare il Paese, dal centrodestra a centrosinistra passando tra movimenti come quello di Grillo, al contrasto alle mafie ci si stia dedicando davvero troppo poco. Non basta più da parte della politica riconoscere il problema, ma va affrontato. Senza sconti e con le proposte.
Giulio Cavalli parla di “assunzione di coscienza e responsabilità”, Pino Masciari si augura che siamo noi stessi a “diventare Stato”; può essere vicina la “rivoluzione culturale” di cui Masciari parla?
Cito Giovanni Falcone, però lo faccio per intero che ogni tanto si perdono per strada dei pezzi. Diceva il giudice istruttore ucciso dalla mafia il 23 maggio del 1992 «La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni». Ecco, io con la prima parte, che è quella che citano tutti, sono sostanzialmente in disaccordo, e come ho detto più volte, non credo che il fenomeno della mafia abbia prima o poi una fine, almeno fino a che gli uomini abiteranno questo pianeta. Mi piace invece ricordare quella seconda parte. Ecco, parte dei cittadini quella “assunzione di coscienza e responsabilità” di cui parla Cavalli se la sono presa, ma al contrario una “rivoluzione culturale” su questi temi non potrà iniziare fino a quando in questa “battaglia”, come diceva Falcone, non verranno coinvolte “tutte le forze migliori delle istituzioni”.