di Sara Manisera , 27 Ottobre 2012
Nando dalla Chiesa insegna Sociologia della criminalità organizzata presso l’Università degli Studi di Milano. E’ direttore della Summer school in Organized Crime della Facoltà di Scienze Politiche e coordinatore del Corso di Perfezionamento Post Laurea in Scenari Internazionali della Criminalità Organizzata. E’ editorialista del Fatto Quotidiano e membro del Comitato scientifico della rivista “Narcomafie”. E’ presidente onorario dell’associazione Libera e presidente della scuola di formazione politica Antonino Caponnetto. Tra le sue principali pubblicazioni sulla criminalità organizzata vi sono: Il potere mafioso. Economia e ideologia (1976), La palude e la città con Pino Arlacchi (1987), Il giudice ragazzino (1992), La politica della doppiezza (1996), La scuola di via Pasquale Scura (2004), Le ribelli (2006), La convergenza (2010), Contro la mafia (2010) e Buccinasco. La ‘ndrangheta al nord con Martina Panzarasa (2012).
Martina Panzarasa collabora con il corso di Sociologia della criminalità organizzata presso l’Università degli studi di Milano, gestisce la segreteria scientifica della Summer School in Organized Crime della Facoltà di Scienze Politiche. Ha pubblicato: Al nostro posto. Storie di donne che resistono alle mafie(2012), con Ludovica Ioppolo e Buccinasco. La ‘ndrangheta al nord (2012) con Nando dalla Chiesa.
Buccinasco sarà presentato domenica 11 novembre alle ore 18 presso il bene confiscato in via Ceriani, 14
Buccinasco. La ‘ndrangheta al Nord è l’ultima opera di Nando dalla Chiesa e Martina Panzarasa. Il libro ricostruisce e spiega tutte le ragioni che hanno portato Buccinasco ad essere considerata un caso esemplare di vera e propria colonia della ‘Ndrangheta, “la Platì del Nord”, come è stata poi ribattezzata. Ma come è potuto accadere che un piccolo nucleo di cascine si trasformasse nell’epicentro dei sequestri prima, nel covo del traffico della droga poi e infine nel regno indiscusso del potentissimo boss Antonio Papalia, capo reggente della ‘Ndrangheta al Nord? L’indagine metodologica del libro fa luce e indaga su tutta una serie di meccanismi che ha originato quello che gli autori chiamano “paradosso sociologico”; una serie di dinamiche sociodemografiche (la migrazione regionale, le comunità nelle comunità che hanno prodotto il mimetismo sociale), socioeconomiche (la perdita di riferimenti quali la fabbrica e il sindacato), politiche (gli effetti cono d’ombra del terrorismo rosso prima, dello stragismo di Cosa Nostra poi, uniti alla continua competizione e ricerca del potere da parte della classe dirigente), e criminali che hanno portato Buccinasco ad essere la colonia per eccellenza del Comune aspromontano.
Quale di queste dinamiche ha concorso più delle altre alla formazione di questo “paradosso sociologico”?
Hanno avuto tutte la medesima intensità?
NdC: E’ difficile dirlo, non sono le concause a stabilire quale sia la causa efficiente cioè quella che più di tutte rompe gli equilibri e produce una situazione nuova. E’ la combinazione del movimento migratorio in un comune piccolo in un clima politicamente favorevole. Però abbiamo già unito tre fattori insieme. D’altra parte sono proprio le combinazioni a produrre le differenze. Possiamo dire , però, che se non ci fosse stato quel clima politico a Milano negli anni ottanta e novanta, questo non sarebbe successo. Ma possiamo anche dire che se non ci fosse stato un aumento demografico verso un comune privo di identità, anche questo non sarebbe successo. E’ una situazione in cui le cause efficienti sono più di una. E anche questo è abbastanza paradossale.
Una colonizzazione dunque che parte da lontano e che affonda le sue radici con i primi flussi migratori del dopoguerra ma che si consolida quasi con naturalezza, proprio perché il centro abitato viene contaminato fin dalla sua formazione. Come recuperare il tempo perso ora che siamo arrivati con decenni di ritardo?
MP: La lettura del nostro libro dovrebbe suscitare una capacità analitica e al tempo stesso un allarme e quindi dire, va bene questo è un caso, ma ce ne saranno altri come Buccinasco in Lombardia; Desio, per esempio, è un altro caso storico anche se lì è presente un altro elemento, ovvero il soggiorno obbligato che a Buccinasco non c’è. Sarebbe auspicabile, se la rilettura in chiave storica e sociologica diventasse uno strumento di attenzione, di allarme e di informazione invece che un continuo negare.
Che reazione vi aspettate dalla pubblicazione di questo libro da parte della cittadina di Buccinasco e dagli amministratori attuali?
NdC: Diciamo che la reazione da parte degli amministratori di Buccinasco c’è già stata. C’è un’intervista del sindaco al Giorno, in cui ha attaccato il libro. Il fatto è che tutto questo non si sarebbe verificato se non ci fosse stata una connivenza di rappresentanti politici in modo più o meno partecipato, più o meno volto a perseguire i propri interessi particolari. Tuttavia, l’avevamo messo in conto. Ero sicuro che una volta uscito il libro su Buccinasco, conoscendo le dinamiche di tutte le amministrazioni degli anni settanta, oggi avrebbero detto “così si sfigura l’immagine di Buccinasco, proprio adesso che la stiamo risanando”. E’ un classico.
Nel libro voi scrivete che “l’appartenenza, la nascita a Platì, indica, incarna e rimanda a un sistema di valori, un insieme di regole, modi di pensare che vengono conferiti dalla famiglia di appartenenza”. Ora, poiché la famiglia riproduce il codice culturale mafioso, come si fa ad intaccare questo sistema valoriale?
MP: Sicuramente la scuola è uno strumento così come la formazione in generale.
Ma in una cittadina come Buccinasco, dove biblioteche e scuole erano ben presenti e i servizi sociali sono stati moltiplicati negli anni dai vari governi, perché ciò non è avvenuto? Perché non l’hanno intaccato?
MP: Nel caso della prima generazione diciamo che Salvo Morabito, era arrivato lì quasi adolescente e ragazzino, gli altri sono arrivati che avevano già quindici, sedici, diciassette anni, quindi la scuola l’hanno fatta giù, nel caso specifico.
NdC: Se non c’è la consapevolezza che esiste il problema, non è che la scuola educa. Se c’è una scuola che ti educa per i valori della legalità contro la mafia, se c’è una classe politica che ne fa un tema dibattuto, allora si può intaccare ma se viene ignorato perché tutti si mettono d’accordo che la cosa non esiste e gli altri non sono sufficientemente preparati e attenti per capire invece l’esistenza del problema, l’enclave criminale si gestisce i fatti suoi senza intaccare la qualità della vita civile. Il risultato è che la scuola non se ne occupa, le classi dirigenti non se ne occupano, le associazioni non se ne occupano e perfino lo si smentisce. Lo hanno smentito nel 1990 quando l’ho raccontato in Società civile, lo smentiscono oggi nel 2012.
Il libro verrà presentato durante il primo festival dei Beni confiscati che si terrà a Milano dal 9 all’11 novembre. Che importanza ha questo festival per Milano? Perché avete scelto di presentare il libro proprio per il festival?
MP: Sicuramente, è importante che la pubblica amministrazione milanese dia un messaggio così forte rispetto ai beni confiscati, cioè che li faccia conoscere attraverso una serie di iniziative che hanno come tema la legalità.
NdC: Abbiamo scelto di presentarlo durante il festival indubbiamente per il valore simbolico; il libro poi parla della colonia per eccellenza della ‘Ndrangheta nella provincia di Milano, Buccinasco, dove ci sono numerosi beni confiscati all’organizzazione. Il problema è infine portare prodotti significativi a questo festival e non prodotti che trattino altri temi.
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