Sotto un forte acquazzone, ieri sera – giovedì 24 novembre – una grande folla si è riunita all’Arco della Pace per la fiaccolata organizzata in memoria di Lea Garofalo. Munita di fiaccole, candele, bandiere e accompagnata da un magico sottofondo musicale ha sfilato per le vie di Milano fino ad arrivare in Viale Montello 6, l’ex roccaforte della ‘ndrangheta. Per un’ultima volta, perché da domani quel posto non esisterà più. Una comunità riunita come in un abbraccio, incurante della pioggia o del freddo. Ieri sera tutte queste persone erano presenti per costruire memoria, e per rivendicare una lotta divenuta ormai un simbolo per la storia di Milano e per l’intera Italia. Poiché Lea Garofalo è divenuta il simbolo di una società pronta a schierarsi, un movimento spontaneo nato sulle spalle di un dolore, di una sofferenza verso una storia, verso un territorio preso d’assalto, verso le complicità, verso la presenza ingombrante delle organizzazioni criminali mafiose a Milano. Un sentimento che ha prodotto legami, sinergie, memoria, reinventando una società civile unita a Milano, spezzando – come Lea fece con la sua realtà – la predestinazione della propria città. Un legame che unisce due regioni, tante città, persone di ogni età.
Dal palco le voci vive di questa storia hanno consegnato al pubblico un pensiero. A partire da Lucilla Andreucci: “Tu ci hai insegnato il coraggio possibile, il coraggio delle persone normali, che cambia le cose. Lea siamo qui per te, e per dare una carezza al cuore di Denise”. Una storia che viene rievocata da Vittorio Sessa del Presidio Lea Garofalo: “Non diamo per scontato il ricordo di Lea Garofalo. Se siamo qui a ricordarla è grazie al fatto che alcune persone hanno conosciuto la sua storia, l’hanno fatta propria, l’hanno capita, hanno deciso di coinvolgere altre persone in modo tale da rendere il ricordo condiviso. Questa sinergia che si è creata è quella che ci permette oggi di ricordare Lea”. Poi, ancora, Martina Mazzeo di Stampo Antimafioso: “Loro insistevano nel dire che era una cosa privata, una cosa di famiglia. Noi abbiamo cercato di trasformare questo loro tentativo in qualcosa di diverso, abbiamo reso la storia di Lea Garofalo e di Denise Cosco una cosa pubblica, l’abbiamo fatta diventare una notizia. Questa storia non la dobbiamo dimenticare, la dobbiamo trasformare in un’azione quotidiana”.
Commovente è stato sentire i ragazzi della scuola media di Mediglia che hanno voluto leggere la lettera da loro scritta per Lea, perché stupiti, perché coinvolti da questa storia, con la voglia di esserci. È a loro e in generale ai giovani che Francesca Ambrosoli, figlia di Giorgio Ambrosoli, ha voluto dedicare il suo pensiero, parlando di speranza, di coraggio, di libertà.
Ci sono stati gli interventi di Silvia Stretti e Simonetta Reggiani, due insegnanti del Coordinamento Scuole milanesi per la Legalità e la Cittadinanza Attiva, che hanno mostrato l’impegno che quotidianamente come docenti dedicano alla memoria e all’educazione alla legalità nelle scuole. “Lea è vittima di cultura mafiosa”, ed è contro questa cultura che ogni giorno giocano la loro partita nelle aule.
Ancora, ha preso parola Maria Ferrucci, che con il suo intervento ha mostrato il pericolo sempre presente della ‘ndrangheta, che lei combatte quotidianamente a Corsico.
Dopo il saluto di David Gentili, presidente della commissione antimafia di Milano, Jole Garuti ha ricordato come Lea Garofalo sia un simbolo per tante altre donne che stanno spezzando l’omertà in Calabria, contro le loro stesse famiglie: “le donne della Calabria sono veramente da ammirare”. “Una ballata per Lea” interpretata da Erminia Terranova e Tano Avanzato ha chiuso la serata, insieme all’urlo in difesa dei calabresi onesti nell’intervento di Giuseppe Teri.
Tanto il desiderio di non far scivolare questa storia civile nell’oblio, tanta la volontà di rivendicare il coraggio di Lea. Sono passati sette anni dalla morte di Lea Garofalo, e molto è cambiato: la solitudine è mutata in movimento, il silenzio omertoso è diventato uno schieramento con una forte voce, il privato mafioso è ora un pubblico antimafioso, l’opposizione è ora resistenza, l’emozione si è trasformata in un percorso costante, la paura è diventata determinazione. Tutti i presenti nella piazza, grazie a questa storia, sanno vedere, sanno sentire, sanno parlare.