Hai paura della ‘ndrangheta? Temi di subire ritorsioni? Allora è giusto che un Primo Cittadino eviti di avere problemi e favorisca i clan. Purtroppo questo non è un pensiero, a dir poco assurdo, del sottoscritto, ma una semplice deduzione che deriva dal comportamento del Sindaco di Fino Mornasco Giuseppe Napoli.
L’ordinanza della Giunta
Ma andiamo con ordine. A seguito delle lamentele di alcuni residenti per il “rumore” proveniente da un noto locale della zona, la Giunta Comunale emana un’ordinanza per chiudere un’ora prima i locali notturni. Fin qui tutto bene, anzi, il comportamento della Giunta è encomiabile.
Quello che preoccupa, però, avviene poche settimane dopo: l’entrata in vigore dell’ordinanza viene posticipata di qualche mese. E il perché lo spiega lo stesso Napoli davanti ai Carabinieri pochi giorni dopo l’operazione Insubria, che ha svelato i nuovi assetti della ‘ndrangheta nella provincia lariana e che attualmente vede imputato tra gli altri il capo della Locale di Fino Mornasco, Michelangelo Chindamo, per il quale sono stati chiesti 20 anni di carcere.
«È vero – ammette davanti ai Ros – il timore degli uomini dei clan “ha condizionato le mie scelte. Ho deciso di procedere con la nuova ordinanza per paura. Ero terrorizzato”. E prosegue: “non che ci fossero minacce esplicite […] ma temevo che mi sarebbe successo qualcosa se avessi leso gli interessi” di persone note per essere vicine alla criminalità calabrese.»
Oggi, in un’intervista concessa al quotidiano “La Provincia”, Napoli ritratta le sue dichiarazioni ai Ros, affermando che non ha posticipato l’ordinanza per paura, ma per evitare possibili “ricorsi” dei gestori dello stesso bar.
“Vittima di un sistema malavitoso”
Nel corso del medesimo colloquio, quando chiedono al Sindaco Napoli se percepisce la presenza della ‘ndrangheta nel suo Comune, la risposta è esemplificativa: «Sì, si coglie dalla ritrosia delle persone ad affrontare l’argomento. Intimorisce solo nominare la parola ‘ndrangheta. Ieri l’altro un giornalista mi ha detto di essere stato in giro per il paese e nessuno ha voluto rilasciare commenti sulla vostra operazione Insubria». Anche Luca Cairoli, l’ex Presidente del Consiglio Comunale la pensa così su questa vicenda: «Il sindaco e io eravamo intimoriti.»
Da queste dichiarazioni non emergono dubbi sui pensieri del sindaco. La ‘ndrangheta c’è ed è ben identificata. Esse però vanno in contraddizione con quanto dichiarato pochi mesi prima, quando i giornali avevano appena pubblicato le intercettazioni tra Cairoli e Luciano Nocera.
Infatti il sindaco aveva dichiarato che Cairoli è stato «vittima di un sistema malavitoso» e lo stesso Cairoli ha affermato: «mai mi sarei sognato che le persone con cui parlavo facessero parte della ‘ndrangheta». Lo stesso Sindaco, come riportato dal quotidiano “Il Giorno” a proposito di un suo colloquio con Klaus Davi (inchiesta sull’omertà qui), aveva detto: «Questi dialoghi risalgono a più di quattro anni fa e Luca non sapeva che quella persona era legata alla ’ndrangheta, su questo ci metto la mano sul fuoco».
Ammettendo che ciò sia vero, vuol dire che in poco tempo i due hanno ben capito con chi avevano a che fare, ma non hanno deciso di denunciare, bensì di assecondare i clan.
Il “puzzo del compromesso”
Nello stesso colloquio sopraccitato, Napoli afferma: «In questi anni non nascondo di aver avuto paura. Ho ricevuto minacce anch’io, ma ho sempre pensato che mollando l’avrei data vinta a chi vuole imporci il silenzio. In passato c’è chi ha messo la testa sotto la sabbia come lo struzzo, qui come altrove, noi abbiamo cercato di portare pulizia».
Qui compare una seconda contraddizione. Sì, perché il colloquio è del dicembre 2014, l’ordinanza “cancellata” è del 2013. Un anno dopo Napoli mente clamorosamente al giornalista. Molti amministratori nazionali, regionali e comunali parlano di “lotta alla mafia”, ma spesso, purtroppo, sono solo parole al vento. Due citazioni di un giudice che ha combattuto davvero la mafia, Paolo Borsellino, possono far capire benissimo ciò che va fatto.
«La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità».
«Vi è stata una delega totale e inammissibile nei confronti della magistratura e delle forze dell’ordine a occuparsi esse solo del problema della mafia […]. E c’è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l’ha condannato, ergo quell’uomo è onesto… e no! […] Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire, be’ ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest’uomo è un mafioso. Però i consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto».