di Adelia Pantano
Avrebbe potuto salire sul palco come un gigante, di quelli che nella storia del cinema hanno lasciato il segno. E invece lo ha fatto con discrezione, a tratti anche con timidezza. Così Luigi Lo Cascio si presenta a Lamezia Terme e alla quinta edizione di TRAME e a lui tocca introdurre l’incontro “La forza della parola”, dove si parla di giornalisti uccisi perché la parola sapevano usarla bene.
Lo Cascio, che tutti ricordiamo per quei cento passi che separavano Peppino Impastato dalla casa del boss Badalamenti, inizia una lettura coinvolgente ed emozionante. Prima con Giuseppe Fava, che ha condotto la sua vita alla ricerca della verità, cercando di risvegliare la coscienza di quei catanesi che vedevano la mafia lontano da loro e che apparteneva solo alla città di Palermo. Tutto questo portato avanti con quell’ottimismo che lo rendeva così diverso da molti suoi colleghi. Legge “La vergogna”, uno stralcio della Sicilia degli anni ’60 attraverso la descrizione del paesino di Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento e “Fantastica intervista con il presidente della Regione”, un articolo tragicomico del suo incontro con Mario D’Acquisto. Una fotografia della Sicilia di quegli anni, in cui a farla da padrone erano il malcostume e il malaffare.
Legge poi Giancarlo Siani, morto a 26 anni perché anche lui amava raccontare e ancora oggi la sua memoria rimane viva grazie a quella Méhari verde che da qualche anno gira l’Italia e che in questi giorni sarà al festival. Lo Cascio ripropone il suo ultimo articolo, pubblicato il giorno prima della sua morte. Una nonna spacciatrice e un giovane muschillo che spacciava nel centro storico di Torre Annunziata.
Sono bastati pochi minuti per calarsi anche in questo ennesimo ruolo, quello di lettore. Ha saputo emozionare Lo Cascio, con la sua raffinatezza e la sua bravura. Fava e Siani hanno rivissuto attraverso la sua interpretazione e i suoi gesti. C’è stato anche il tempo per ricordare Peppino a cui lui deve molto e dopo tanti anni non lo ha mai lasciato, lo porta sempre dentro. Per qualche attimo l’attore rivive insieme al pubblico qualche intimo aneddoto del dietro le quinte, che mai aveva raccontato e soprattutto del suo rapporto con la madre Felicia.
Insieme alla giornalista Luisella Costamagna, a salire sul palco subito dopo è Paolo Siani, fratello di quello che tutti ricordano come il “giornalista giornalista”. Racconta di Giancarlo, una figura quanto mai attuale. Anche lui all’epoca era un precario come molti giovani d’oggi che vogliono dedicarsi a questo mestiere, ma negli anni ’80 venivano chiamati abusivi, che forse è ancora peggio secondo Paolo. Giancarlo era un ragazzo normale, che aveva scoperto la sua passione per il giornalismo un po’ come tutti, quando a scuola si fanno le grandi inchiesta sui giornalini della scuola. Era bravo e deciso a continuare per questa strada, soprattutto quando aveva scoperto che di alcune notizie ne parlava solo lui e nessun altro giornale. Scriveva le “schifezze della camorra” come le chiama Paolo e come succede in questi casi il pericolo di essere isolati e traditi e sempre dietro l’angolo. A Giancarlo Siani è successo fin troppo presto, a 26 anni e proprio quando stava scoprendo la verità e proprio in quella macchina così particolare, che forse lui non aveva scelto per caso.
Ora, a trent’anni esatti dalla sua morte, giustizia è stata fatta con la condanna dei suoi assassini, anche se ancora qualche pezzo ancora manca: due dossier a cui stava lavorando, spariti subito dopo. Il fratello ha ancora voglia di capire molte cose, ma col passare del tempo diventa sempre più difficile. Ad oggi, dopo le condanne e la sua Méhari verde che splende nella piazza di Lamezia, sono la testimonianza che il suo sacrificio è servito a qualcosa: “Giancarlo da lassù ha avuto una piccola rivincita”.