Ma se la nostra macchina prendesse fuoco in una notte gelida, come interpreteremmo il fenomeno? É quello che è successo in provincia di Mantova ad un imprenditore edile nel 2009, due volte di fila, a novembre e a dicembre – e la seconda volta la macchina era nuova. Lui non ha avuto dubbi in apparenza quando gli è stato chiesto come fosse possibile stato: autocombustione. Caso archiviato e avanti tutta.
L’autocombustione sembrava essere contagiosa, una malattia che colpisce imprenditori edili, tra Piacenza, Reggio Emilia, Parma, Modena, Mantova. Almeno fino al 24 settembre 2011, quando un imprenditore in difficoltà, Matteo Franzoni (che ancora oggi fatica a trovare qualcuno che gli dia da lavorare) si presenta alla stazione dei carabinieri. Prende così l’innesco la prima vera maxi-inchiesta del nord Italia denominata “Aemilia”, 160 arrestati, 54 imputati per associazione di stampo mafioso, 500 milioni di beni sequestrati, 78 parti offese e 32 parti civili. Contemporaneamente si accendono le operazioni Kyterion e Pesci, rispettivamente in Calabria ed in Lombardia, a Mantova, dove si è cercato a suon di intimidazioni e minacce di riversare 180 mila metri cubi di cemento sul lungo lago di fronte al castello di San Giorgio in un’area che è stata riconosciuta un bene culturale.
L’inchiesta Pesci è stata seguita sin dalle prima battute da Rossella Canadè sulle pagine della Gazzetta di Mantova. Mentre ci sono giornalisti che finiscono sul libro paga della ‘ndrangheta, ce ne sono altri, come Rossella, che ci insegnano a non fermarci su quel che avviene sul palcoscenico ma invece a interrogarci su quel che accade dietro le quinte. Ecco perché è doppiamente prezioso il suo lavoro: non solo perché con la sua inchiesta (“Fuoco Criminale”, edito da Imprimatur) è riuscita a dare spazio a quelle storie che hanno qualcosa di così importante da dirci e che nei tempi dell’informazione “usa e getta” avevano bisogno di più respiro per dispiegare appieno il loro significato storico; ma anche perché se attorno alle mafie – come Nando dalla Chiesa osserva – ci sono i complici, i codardi e i cretini, se non vogliamo rischiare di ricadere in una di queste categorie, non ci resta che la quarta via, la consapevolezza: la mafia esiste, è anche al nord, il processo Aemilia è solo la punta di un iceberg e se ad ogni livello istituzionale e politico è capitato e capiterà ancora di trovare elementi che sottovalutano o negano, questi signori hanno una precisa responsabilità politica, se non penale.
Ciò che dalle inchieste è necessario imparare è che non sono in gioco solo gli interessi di una minoranza di imprenditori edili: le betoniere bruciate, le minacce sui cantieri, sono solo la prima tappa di un processo espansivo, un fenomeno unitario in cui esponenti e capi delle cosche sono accomunati da una logica organizzativa fondata sul controllo della vita quotidiana, sul consenso sociale di pari passo con l’esercizio della violenza, per cui si parte dalle betoniere per arrivare a farsi posto spingendo e minacciando e terrorizzando nei nostri municipi, nelle nostre strade, fino a procurare una moria di imprese “sane” – con conseguente contrazione dei posti di lavoro “sani”, come sta accadendo proprio a Mantova. Eppure sembra si fallisca di riconoscere che questo è un attacco contro il diritto al lavoro, o perlomeno si è evitato di menzionarlo anche nell’appena trascorsa campagna elettorale.
L’impresa mafiosa non è un mero strumento di guadagno: è uno strumento di condizionamento sociale, come si evince anche dalle carte dell’indagine che hanno portato all’avvio del processo Pesci. Il quale si è concluso il 21 settembre 2017 con condanne per 120 anni. Proprio per questo il coordinamento regionale di Libera in Lombardia ha deciso di celebrare proprio a Mantova il 21 marzo, ricorrenza annuale in ricordo delle vittime innocenti di mafia. E proprio in vista del 21 marzo il libro è stato presentato anche a Milano, lo scorso 7 marzo, da Libera Milano e l’Osservatorio Cross.
Ma questo lavoro giornalistico merita ancora qualche parola di commento. A partire da una domanda che la lettura stessa del libro suggerisce: può un’inchiesta giornalistica essere avvincente quanto una serie TV? L’istinto naturale spesso è chiudere gli occhi come fanno i bambini di fronte al brutto per evitare di esserne coinvolti, oppure di girare la testa e guardare il mare quant’è bello, sbocconcellando qualche prelibata specialità. La “fiction” può essere evasione ma può anche tratteggiare, almeno a grandi linee, i problemi sociali. Però occorre contestualizzare i messaggi che si lanciano, se non vogliamo rivedere casi in cui realtà e finzione si confondono come non vorremmo, come quello della baby gang che, emulando una scena vista in una famosa serie televisiva, ha rotto il setto nasale ad un sedicenne alla fermata della metro Policlinico a Napoli usando un orologio da polso come tirapugni, il 14 gennaio scorso.
Dopotutto se è un istinto umano anche liberarsi, almeno nel pensiero, almeno in un momento di svago, di quei legacci che ci incatenano all’imperfezione di un mondo ancora troppo feroce, è anche un istinto altrettanto umano difendere quel che ci è caro, perché anche ciò che siamo abituati a considerare come nostro da sempre e per sempre ci sarà tolto se non lo proteggiamo, come individui e come collettività. O non avremo il diritto di lamentarci la prossima volta che apprenderemo di storie indigeribili, come quella raccontata da Rosy Battaglia dell’amianto miscelato al cemento nelle scuole ricostruite dopo il sisma del 2012.
La confortevole abitudine mentale per cui non sta succedendo niente o che la difesa della nostra libertà sia da delegare in toto all’attività della magistratura e non ci sia invece bisogno di alzare le antenne, è anche alla base di fenomeni paradossali come quello acutamente descritto dalla pm Claudia Moregola della DDA di Brescia di fronte a Rossella Canadè, Nando dalla Chiesa, Federica Cabras e Martina Mazzeo dell’Università di Milano: nel Tribunale di Brescia, nell’aula dove si celebrava il processo a carico di Massimo Bossetti per l’omicidio di Yara Gambirasio i giornalisti facevano la fila per entrare, con tanto di biglietti numerati, mentre la stessa attenzione mediatica al processo Pesci non è stata riservata.
Come ha scritto Albert Einstein nel suo contributo sul musicista Casals: “Il mondo rischia più per quelli che tollerano il male che per quelli che lo fanno.”