alberto targa lea garofaloSui rami di un albero piantato davanti alla biblioteca di parco Sempione a Milano, le foglie che spunteranno in primavera sono già racchiuse in alcune gemme. Non ci sarebbe nulla di rilevante, nulla da meritare fotografie, articoli e post su facebook se quell’albero fosse uguale agli altri. Si tratta invece dell’albero piantato circa un anno fa dai ragazzi di Libera in onore di Lea Garofalo, la testimone di giustizia uccisa da Carlo Cosco, suo marito e uomo del clan di Petilia Policastro, per aver iniziato a raccontare ai giudici tutte le vicende legate alla sua famiglia.

Davanti a quell’albero fino al pomeriggio di domenica 24 settembre era piantata anche una targa, che recitava «Lea Garofalo, testimone di giustizia vittima della cultura mafiosa». Adesso però, arrivati al secondo grado di giudizio nel processo che vede imputati per il suo omicidio Carlo Cosco e altri membri della sua famiglia, quella targa è stata cambiata. Se prima infatti bisogna essere cauti, perché le sentenze dei giudizi non avevano ancora fatto chiarezza su quanto avvenuto il giorno della morte di Lea, il 24 novembre del 2009, ora si può scrivere la verità. Si può scrivere che quella coraggiosa testimone di giustizia non è morta per una generica «cultura mafiosa», ma è morta proprio per mano della ‘ndrangheta. La targa posta l’anno scorso è stata quindi sostituita con un’altra che recita «Testimone di giustizia, vittima della ‘ndrangheta. Morta per la dignità e la legalità».

Dietro questo cartello non c’è però solo un albero, e non c’è solo la storia questa donna. C’è anche la storia di un presidio di Libera, il presidio Libera Giovani Lea Garofalo. Come ha raccontato Davide Salluzzo, referente di Libera Lombardia, la storia di questi ragazzi ha cambiato il modo di fare antimafia della più grande associazione per la legalità di Italia. Da quando sono iniziati i processi per la morte di Lea, questi ragazzi hanno iniziato a seguirli, ogni giorno. Hanno messo da parte università, impegni e lavoro per essere presenti sempre in aula, ascoltando le udienze fianco a fianco dei parenti degli imputati. E ora anche altri presidi di Libera hanno iniziato a seguire i processi di mafia, come sta accadendo in questi giorni nel tribunale di Palermo per le udienze sulla presunta (aggettivo da tenere fino al primo grado di giudizio) trattativa Stato-Cosa Nostra.

Le gemme che stanno nascendo da quell’albero, non sono solo il simbolo di un nuovo modo di fare  antimafia in Libera che sta nascendo. Sono anche il simbolo di una nuova coscienza che si sta facendo più forte, una coscienza che trae la sua linfa anche dai giovani di questo presidio. Ora la sfida per i ragazzi del presidio Libera giovani Lea Garofalo, sarà quella di togliere quel “giovani” dal loro nome e fare sì che la storia di Lea venga difesa e raccontata non solo dai giovani, ma da tutti. 

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