gioco d'azzardoAnch’io ho una richiesta per Renzi. Una riforma piccola piccola, da fare in dieci minuti, senza bisogno di intasare gli uffici legislativi. E assolutamente gratis. Ma di grandissimo significato, non solo simbolico. Partiamo dai fatti, dall’incredibile vicenda che si sta verificando a Milano e che ben rappresenta lo stato del paese, il divario tra i princìpi che dovrebbero guidarlo e ciò che vi accade davvero. Il teatro è il centralissimo corso Vercelli, una delle zone più ricche e di più intenso sviluppo commerciale della città. Qui si sta lavorando alacremente a fare aprire una delle più grandi sale giochi che si siano mai viste in Italia. Si fantastica di tre piani, di 800 metri quadri, di servizi di accoglienza per i clienti. Una cosa avveniristica.
Nel paese è in corso una civilissima campagna contro la diffusione del gioco d’azzardo, contro la proliferazione di sale e salette giochi e la penetrazione pervasiva delle famigerate “macchinette” (in tutte le loro varianti tecnologiche). La crisi acuisce la disperazione e nella disperazione si gioca. E si perde. Piccole somme vitali. Così da finire più facilmente nelle grinfie degli usurai. O da provocare tragedie familiari. Giocano gli anziani, giocano i ragazzi. Si escogitano limiti illusori: a tanti metri dalle scuole non si possono aprire sale. Ma è un pannicello ipocrita. Il dramma è ben altro, e ci sta dentro anche lo Stato biscazziere che punta a far cassa con queste attività. Ecco, nell’Italia civile sta crescendo da tempo l’opposizione al degrado. Un fronte vastissimo. E il comune di Milano è parte di questo movimento. Ne sono parte anche i cittadini della zona in questione, che già immaginano quel che potrà accadere. Li ospita spesso la parrocchia di San Pietro in Sala, dove esistono due gruppi di auto-aiuto (maschile e femminile) proprio contro la ludopatia e dove si teme per i giovani del quartiere. La questura però è inflessibile. La sala ha il diritto di aprire. E lei, questura, ha il “dovere” (sta scritto esattamente così) di rilasciare l’autorizzazione. Nonostante una sentenza della magistratura dia ragione senza mezzi termini all’opposizione del condominio. Nonostante le opposizioni del quartiere. Si racconta anzi nelle riunioni dei cittadini di un funzionario particolarmente zelante nello sposare i diritti dell’impresa. Certo stupisce che l’autorizzazione venga data dopo l’entrata in vigore della legge regionale, che prevede una distanza minima di 500 metri tra sale giochi e scuole e che metterebbe fuori gioco il progetto. E pochi giorni prima dei decreti attuativi della legge medesima. In genere se il governo regionale matura un orientamento (più volte espresso pubblicamente e con enfasi anche dal presidente della Regione) e legifera su una materia, un funzionario di polizia non lo prende in contropiede giocandogli contro d’anticipo.

Il comune di Milano ha fatto opposizione invocando esigenze sanitarie (la preoccupante diffusione della ludopatia, appunto) e la faccenda è passata al Tar. La questione specifica è grave. Ma è ancora più grave se andiamo oltre corso Vercelli, se cioè allarghiamo il nostro sguardo nello spazio e nel tempo. Perché il gioco d’azzardo costituisce notoriamente una delle principali aree di inserimento della criminalità organizzata. A Milano recentemente è andato a fuoco di notte un locale di periferia che si era rifiutato di accettare le macchinette, mentre in altre parti della città due pubblici ufficiali in divisa sono stati messi sotto accusa dai magistrati per avere favorito i clan in questo settore. A Bordighera il consiglio comunale è stato sciolto (scioglimento revocato, come è noto…) anche a partire da una vicenda che riguardava proprio le mani dei clan sul progetto di due nuove sale giochi. Senza contare le lunghe storie delle lotte tra cosche rivali per il controllo dei casinò. Sono cose note: lo spettro dell’usura, del riciclaggio, le possibilità di ricatto, ecc. Per questi scrupoli, pochissimi anni fa, il sindaco di Cologno Monzese aveva provato, ad esempio, a opporsi all’apertura di una sala. Ma la questura era stata molto determinata ad affermare la propria esclusiva titolarità a decidere in materia. E aveva deciso favorevolmente.
Insomma, la questione generale non si può più eludere. L’idea di questa titolarità esclusiva rinvia a un’idea antidiluviana dei cosiddetti problemi di “ordine pubblico”. Una città deve essere libera di decidere di non diventare Las Vegas, libera di scegliere le forme della sua socialità, e anche le strategie sociali ed economiche della sicurezza. Deve averne il potere il suo governo, che per questo viene eletto. Ed ecco dunque la proposta che rivolgo al nuovo presidente del Consiglio. Veloce, a costo zero e capace di portargli di colpo il consenso dei comuni italiani, del vasto movimento sorto contro il gioco d’azzardo, e dei movimenti antimafia come Libera. Faccia un decreto legge per stabilire che per le pratiche future e ancora in corso l’autorizzazione all’apertura delle sale giochi richiede le firme congiunte di questore e di sindaco. Semplice, facile, democratico, innovativo. Potrebbe essere la prima riforma. Gliene saremmo grati in tanti.

(Fonte: Il Fatto Quotidiano, 4/03/2014)

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