di Matilde Aliffi

GennariLa ‘ndrangheta in Lombardia si è radicata, nella nebbia, incontrando poca resistenza. Il giudice del tribunale di Milano, Giuseppe Gennari, ha voluto raccontarla, in occasione della presentazione del suo libro, Le fondamenta della città: come il Nord d’Italia ha aperto le porte alla ‘ndrangheta, nella serata di venerdì primo marzo a La Feltrinelli di Como, dialogando con il giornalista de La Provincia Paolo Moretti. L’incontro, che ha indicato la presenza sistematica della criminalità organizzata in tanti settori di impresa, in particolare del movimento terra, è stato promosso dalla libreria insieme al Coordinamento provinciale di Libera Como. Tanti i partecipanti, presenti anche il consigliere regionale del Pd Luca Gaffuri, e Marcello Iantorno, assessore al Patrimonio del Comune di Como, ed esponenti della società civile cittadina.

Dalle parole del giudice Gennari è emersa una fotografia preoccupante della presenza mafiosa, perché ad una pervasività marcata della ‘ndrangheta in Lombardia fa da contraltare una società civile che ha ancora poca capacità di lettura del fenomeno mafioso e uno Stato che non sempre riesce ad essere efficiente come dovrebbe.

Gennari, infatti, ha affermato che non si deve più parlare di infiltrazione criminale nel territorio lombardo ma di radicamento. La consapevolezza del territorio rimane bassa, «la presenza delle famiglie criminali – ha detto infatti Gennari – è attestata dalla metà degli anni Ottanta, tuttavia dopo Mani Pulite e Tangentopoli per molto tempo questo argomento è rimasto sottotraccia, così per una decina di anni hanno potuto proliferare». La difficoltà dello Stato ad arginare questo fenomeno, come ha sostenuto Gennari, risiede anche nel fatto che i reati che la ‘ndrangheta commette in Lombardia sono più difficili da dimostrare, poiché negli ultimi anni si occupa meno di traffico di stupefacenti, del cui mercato non detiene più l’egemonia, ma si immette in altri settori, per i quali il rischio penale è meno elevato, le indagini più complesse ma il guadagno altrettanto alto. Alcuni di questi settori, come è stato detto nella serata, riguardano il movimento terra e l’offerta di servizi illegali all’imprenditoria. Alcuni esempi di servizi illegali, ha detto Gennari, sono la fabbricazione di fatture false per evadere imposte, servizi di recupero crediti, smaltimento dei rifiuti tossici. La presenza della ‘ndrangheta nel movimento terra è massiccia: in tutti i cantieri è potenzialmente presente la ‘ndrangheta, afferma Gennari. Raramente il lavoro viene dato ufficialmente alle loro ditte, ma spesso di fatto. Secondo Gennari bisognerebbe controllare chi lavora nell’appalto, per smascherare eventualmente la presenza criminale nel suo interno.

Durante la presentazione del libro non sono mancati riferimenti alla realtà territoriale comasca. Si è fatto infatti più volte il nome di Ivano Perego, imprenditore titolare dell’omonima ditta di Cassago Brianza, condannato a dodici anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso nell’ambito del processo Infinito, scaturito dall’omonima operazione del 2010. La Perego Strade si è occupata anche del movimento terra che ha riguardato il nuovo ospedale Sant’Anna e, secondo quanto alcuni operai hanno denunciato, è stata responsabile di sversamento di rifiuti speciali nelle fondamenta della clinica. Ivano Perego, imprenditore brianzolo, ha accettato i servizi offerti dalla ‘ndrangheta, si è avvalso di quegli aiuti illudendosi di poter migliorare la propria situazione in un momento di difficoltà. Invece ne è rimasto stritolato: la sua azienda è fallita comunque.

L’incontro è stato seguito con molta attenzione, tante le domande e gli interrogativi sulla questione, molti dei quali rimangono ancora aperti. Tuttavia Gennari si definisce ottimista, poiché «negli ultimi anni qualcosa è cambiato, c’è da parte della società civile una domanda di spiegazione del fenomeno». La consapevolezza quindi sta lentamente maturando anche in queste zone. Come ha affermato Gennari «la battaglia contro la ‘ndrangheta si gioca sul piano culturale. È infatti un’illusione pensare che sia la magistratura a risolvere la situazione, perché quando interviene è spesso troppo tardi. Invece il cittadino che conosce il fenomeno è quello che saprà opporsi e dire di “no” alle eventuali richieste criminali.

[Foto e video di Cecilia Magatti].

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