di Demetrio Villani
Quinta udienza: le rivelazioni del collaboratore di giustizia Domenico Agresta danno una svolta al processo
È la mattina del 13 marzo e alle 9.30 aprono le porte della Corte d’Assise di Milano per ospitare la quinta udienza del processo Caccia bis. L’aria in aula è tesa: il pm e i difensori sembra ripassino le domande preparate e i giornalisti sono tanti. Il primo testimone chiamato dal giudice Ilio Mannucci è proprio il più atteso: Domenico “Mimmo” Agresta, che per ragioni di sicurezza, risponderà alle domande in collegamento dal carcere in cui è detenuto. Nell’ottobre 2016 Agresta, classe 1988, ha scelto la via della collaborazione con la giustizia, decisione non apprezzata certamente dall’ambiente criminale molto vicino a lui ed alla sua famiglia, che da quel momento gli ha dichiarato guerra. Inizia l’interrogatorio.
Il pentito appare molto disponibile a rispondere alle domande del pm Marcelo Tatangelo, il quale – dopo aver ripercorso la storia criminale di Agresta – gli propone una serie di domande relative all’omicidio del procuratore Bruno Caccia. Il collaboratore afferma di aver sentito parlare del delitto durante un colloquio con Placido Barresi e Giuseppe Belfiore, avvenuto in carcere in un periodo di detenzione comune, circa nel 2008: i due, dopo aver parlato di uno strano strumento in grado di manipolare le intercettazioni telefoniche, avrebbero accennato all’omicidio del magistrato e, in seguito alla domanda di Agresta circa il movente, Barresi avrebbe risposto che Caccia andava eliminato perché incorruttibile e non disposto al dialogo, facendo riferimento ad un episodio avvenuto nell’ufficio del procuratore a Torino. “Ma Barresi le disse di aver partecipato?”, il pm incalza il testimone, il quale afferma che – riguardo ai mandanti – Barresi aveva parlato di “quelli che comandavano all’epoca a Torino”, riferendosi a Domenico Belfiore e Ciccio Mazzaferro, ‘ndranghetisti di spicco della locale di Moncalieri. Agresta viene poi portato dal pm a riferire di un successivo episodio in cui partecipò ad una discussione riguardante l’omicidio del procuratore, avvenuta sempre in carcere, questa volta con la presenza di Cosimo Crea e Saverio Agresta, padre del teste. Circostanza nella quale, in seguito alla paura paventata da Crea circa nuove indagini condotte dalla procura di Torino su omicidi consumati durante gli anni ’80 e ’90, Saverio Agresta lo rassicurò in relazione all’omicidio Caccia: “Tranquillo, quello se lo sono fatti Rocco Barca (Rocco Schirripa) e Ciccio D’onofrio”.
“Mio padre non disse che ruolo avevano avuto i due, disse solo che se lo erano fatti loro” così Agresta racconta l’episodio, ed alla domanda del pm riguardo alla sua reazione a tale notizia, Agresta risponde che non si stupì di tale fatto, “conoscevo già la caratura criminale di quei due”. Terminate le domande di Tatangelo, Agresta racconta la sua scelta della collaborazione con la giustizia e si lascia andare ad un discorso appassionato, sottolineando l’importanza che hanno avuto per lui la scuola e le figure di alcuni educatori, non dimenticando di affermare che tale scelta però gli ha fatto perdere qualsiasi legame con la famiglia, da cui tutt’ora gli pervengono minacce di morte.
È il turno dell’avvocato dei familiari, avv. Repici, il quale propone al teste una serie di domande generali circa il funzionamento delle locali di ‘ndrangheta in Piemonte e riguardanti i rapporti del teste con figure di spicco della ‘ndrangheta piemontese come Placido Barresi, Ciccio D’onofrio, Cosimo Crea, Domenico Belfiore e Giuseppe Belfiore, al fine di sondare i legami e la conseguente veridicità della testimonianza resa. L’avvocato si sofferma, al termine del suo intervento, sul ruolo di Barresi all’interno dell’associazione, posizione atipica perché mai affiliato. “Placido lo rispettavano tutti e lo seguivano pure gli affiliati, anche se non era dentro l’associazione. Era considerato affidabile e stringeva i rapporti con l’esterno”, così risponde Mimmo Agresta, affermando che Barresi aveva rapporti “un po’ con tutti a Torino” nonostante non facesse parte della ‘ndrangheta in senso formale.
“Sapeva che Barresi si è dissociato?”, l’avvocato della difesa Mauro Anetrini prosegue sullo stesso tema sollevato dall’avv. Repici e inizia con questa domanda un interrogatorio nel quale si soffermerà in modo particolare sui rapporti tra Mimmo Agresta, il padre Saverio e le altre figure protagoniste della vicenda. “Io so da dentro la storia della dissociazione, sicuramente si sono messi d’accordo Barresi e i Belfiore, in quanto Placido è comunque considerato rispettabile dall’ambiente. Ha deciso di parlare solo per sé e per questo non è infame”. Agresta spiazza l’aula affermando del possibile accordo dietro la scelta di dissociazione di Barresi, il quale viene considerato comunque una figura importante all’interno dell’organizzazione. “Barresi le ha mai detto di aver partecipato al delitto Caccia?” con la risposta negativa di Agresta a questa ultima domanda, la difesa termina le domande.
Per la prima volta anche il giudice Mannucci pone domande al teste. La richiesta è volta a comprendere se Saverio Agresta, nel colloquio avuto con suo figlio e Cosimo Crea, avesse riferito di quanti omicidi vedevano protagonista Rocco Schirripa; anche in questo caso Mimmo Agresta non conosce questa informazione. Dopo quasi quattro ore di interrogatorio serrato, il collaboratore di giustizia viene liberato.
Il pomeriggio vede la presenza in aula di due figure fondamentali dell’ambiente criminale piemontese degli anni ‘80: è il turno dei fratelli Giuseppe e Domenico Belfiore. Gli interrogatori dei due procedono molto velocemente in quanto le parti, valutati i problemi di salute di Domenico Belfiore, decidono di accordarsi sull’acquisizione di entrambi i verbali delle testimonianze precedentemente rese dai due in data 5 dicembre 2016. Così facendo si procede soltanto con domande relative ai fatti sopravvenuti a tale data: la testimonianza di Agresta. Domenico Belfiore appare visibilmente stanco e provato dall’udienza, si dilunga su ogni domanda che gli viene fatta negando qualsiasi suo coinvolgimento con la ‘ndrangheta,“Io non faccio parte di nessuna delle cinque organizzazione criminali mafiose, le sentenze lo dicono”. Infine, alla domanda relativa alla testimonianza di Mimmo Agresta avanzata dall’avv. Repici, egli minimizza “Quanti anni ha? A me risulta che ne abbia una trentina, cosa può sapere”. Terminate le domande, entra in aula Giuseppe Belfiore.
Analogamente al fratello, le domande cercano di approfondire i rapporti tra Belfiore e criminali di spicco dell’epoca, focalizzandosi specialmente sul legame tra lo stesso Belfiore e Ciccio D’onofrio, che definirà come un amico e assolutamente estraneo ai reati di mafia a lui imputati.
Appuntamento a mercoledì 15 marzo per l’analisi delle ultime testimonianze richieste dal pm.