di Amedeo Paparoni

La chiamano la città del peccato per il gioco d’azzardo legale, gli alcolici serviti a tutte le ore e la vasta scelta di spettacoli per adulti: Las Vegas è la terra promessa del business del divertimento, settore su cui Cosa nostra americana ha sempre puntato. La sua presenza nella città è nota sin dagli anni Quaranta e alcune tracce del suo violento passato stanno emergendo dal vicino lago Mead. Il bacino sta infatti subendo gli effetti della siccità che hanno fatto emergere diverse imbarcazioni affondate, i resti della città fantasma di St. Thomas, cenere vulcanica e cadaveri, sei per la precisione.

Il primo corpo, emerso lo scorso maggio, è stato rinvenuto all’interno di un barile e presentava una ferita da arma da fuoco in testa. Nelle vicinanze, a distanza di cinque mesi, è stata rinvenuta anche una pistola. Dai vestiti indossati dalla vittima si è potuto risalire alla probabile data del decesso, tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, quando la mafia di Chicago, nota come Chicago Outfit, aveva una radicata presenza anche a Las Vegas. In quel periodo il boss Anthony John Spilotro, soprannominato Tony The Ant, si arricchiva con i profitti illegali di quattro casinò, ricavati con una frode fiscale nota come “scrematura”. La frode da 7 milioni di dollari fu scoperta nel maggio del 1976 dal Nevada Gaming Control Board che intervenne con una retata al casinò Stardust. In quell’occasione l’allora supervisore delle slot machine, George Jay Vandermark, riuscì a fuggire e a rendersi irreperibile, portando con sé tre milioni di dollari. Si vocifera che Vandermark sia poi fuggito in Messico dove avrebbe pagato con la vita il suo sgarro, pista che però non ha trovato riscontro.

Nonostante allo stato attuale non sia ancora stato possibile risalire all’identità della vittima ritrovata nella secca del lago, in un’intervista all’emittente televisiva ABC, il giornalista investigativo John L. Smith ha lasciato intendere che potesse trattarsi proprio di Vandermark.

Nella stessa occasione Smith ha colto l’occasione per ricordare anche l’impiegato di casinò e suo amico di famiglia Johnnie Pappas, anch’egli svanito nel nulla nel 1976 e connesso al Chicago Outfit.

Tra le ipotesi sull’identità della vittima si è fatta strada anche la possibilità che si possa trattare di Billy Crespo, trafficante di droga arrestato all’aeroporto di Las Vegas nel 1982 e poi divenuto informatore del governo per evitare una pena detentiva. Crespo scomparve l’anno successivo, dopo che le sue testimonianze portarono all’incriminazione di dieci persone associate alla mafia di Las Vegas.

Stando alle dichiarazioni delle forze dell’ordine, trovare un riscontro d’identità è particolarmente difficoltoso dal momento che gli archivi del DNA non esistevano all’epoca dell’omicidio. Tuttavia le autorità non hanno abbandonato la speranza di identificare il cadavere e si fa strada la possibilità che il corpo possa appartenere a Bobbi Eugene Shaw, scomparso a Las Vegas nel 1977 e che pare avesse legami con alcuni gangster della zona.

L’interesse del crimine organizzato per Las Vegas risale agli anni Quaranta, quando Bugsy Siegel, gangster ebreo legato a Cosa nostra americana, convinse le famiglie mafiose della costa orientale a finanziare la costruzione del Flamingo Las Vegas Hotel & Casinò, inaugurato poi nel dicembre 1946. Secondo quanto riportato da Martin Gosh e Richard Hummer nel libro L’ultimo testamento di Lucky Luciano, questo investimento preoccupò molto i capi mafiosi per via degli ingenti costi imprevisti e per la posizione azzardata della struttura, in un’anonima cittadina nel mezzo del deserto: all’epoca era Reno la metropoli del Nevada nota per il gioco d’azzardo, mentre Las Vegas era poco più che un punto di sosta per viaggiatori di passaggio.

La scommessa di Siegel si rivelò vincente, alimentando l’interesse di Cosa nostra per Las Vegas, la cui presenza nella città è stata così manifesta negli anni da portare nel 2002 l’allora sindaco ed ex avvocato difensore di mafiosi, Oscar Goodman, a proporre di riqualificare l’edificio che ospitava il tribunale e ufficio postale creando al suo interno il Mob Museum, ovvero il Museo Nazionale del Crimine Organizzato e delle Forze dell’Ordine, inaugurato poi nel 2012.

Goodman, intervistato dal Daily Mail, ha espresso qualche perplessità sul rischioso metodo utilizzato per occultare il primo cadavere ritrovato dal momento che per nascondere i resti di una persona sarebbe stato più facile scavare una fossa nella grande area desertica della zona.

Allo stato attuale le autorità statunitensi hanno identificato solo una delle altre cinque vittime, un bagnante affogato nel 2002. Mentre le indagini proseguono, si allarga l’anello bianco attorno al lago che mostra quanto le sue acque fossero alte negli anni passati. Ad agosto, infatti, il lago ha raggiunto il 27% della sua capacità, mettendo seriamente a rischio la riserva di acqua potabile e la produzione di energia idroelettrica. Rimane da chiedersi se questa preoccupante tendenza porterà ad altre macabre scoperte.