di Francesca Gatti
Tre autorevoli nomi nello studio e nel contrasto alle mafie – Giovanni Tizian, Matteo Iori e Enrico Bini -, si sono riuniti la sera di venerdì 22 novembre per analizzare, discutere e confrontarsi con il pubblico presente nella Sala del Tricolore, sull’aperta questione dello sviluppo della criminalità organizzata nella regione Emilia Romagna, sui temi caldi e scomodi dei rapporti tra mafie, imprenditoria, politica e istituzioni, e sugli interessi che le organizzazioni delinquenziali investono nel gioco. I tre ospiti hanno ‘toccato con mano’ durante la loro vita “non per professione o vocazione”, gli effetti del mondo criminale e il loro impegno è costato caro.
Ci troviamo ad una trentina di chilometri da Parma, a Reggio nell’Emilia, definita dal suo assessore alla coesione e sicurezza sociale, Franco Corradini “luogo simbolo della democrazia”. La città infatti – a differenza d’altre – ha voluto sviscerare la realtà nella quale si trovava, ha voluto creare maggiore coesione e consapevolezza tra i suoi membri, formandoli nella valutazione delle diverse situazioni e nell’utilizzo di strumenti (anche mentali) per intervenire uscendone – si spera – indenni e trasparenti. “Abbiamo individuato i nostri difetti, ma a questi fanno da contraltare le nostre energie e la nostra forza, e a questo scopo portiamo la discussione ovunque sia necessario, con la futura certezza che le cose possano veramente cambiare”, asserisce Corradini.
Si apre così la quarta e penultima serata di ‘Reggio contro le mafie’, organizzata dalla web tv e giornale studentesco indipendente Cortocircuito, nato a Reggio nel 2009. Il tema della rassegna, “Mafie e slot machine”, era incentrato sull’industria del gioco, diventata – secondo le stime di Tizian – la terza economia del Paese.
Giovanni Tizian ha conosciuto la ‘ndrangheta la notte del 23 ottobre del 1989 a Locri, quando questa – a colpi di lupara bianca – gli ha ucciso il padre, funzionario di banca che non si era piegato al malaffare mafioso. Parla dell’Emilia, Tizian, come di un luogo dove ha ritrovato l’umanità che da tempo aveva perduto e in grado di dargli la forza per fare i conti con il proprio passato, celato fino al 2008, quando ha iniziato a diffondere la sua storia, dapprima tramite un confronto con altre vittime di mafia, in Aspromonte. Oggi lavora per L’Espresso, e da anni è costretto a vivere sotto scorta; famosa è la telefonata intercettata tra Guido Torello e il boss ‘ndranghetista Nicola Femia, detto Rocco, dove i due si dicono: “O la smette o gli sparo in bocca”. Obiettivo di queste parole erano le sue inchieste giornalistiche risalenti al 2010 e pubblicate per la Gazzetta di Modena. Tizian aveva iniziato a parlare dei rapporti tra le organizzazioni criminali e il gioco d’azzardo “filiera che produce patologie, disagi sociali e miserie” e che è in grado di raccogliere – riferisce il giornalista – 87 miliardi di euro solo nel nostro Paese e solo nel 2012. Le sue storie avevano come protagonisti Domenico Bidognetti, pentito di ‘ndrangheta che svela i retroscena di questa attività e Antonio Padovani, personaggio legato contemporaneamente all’industria del gioco e a Cosa Nostra.
L’aspetto più illegale e pericoloso del gioco concerne il suo utilizzo da parte delle fasce giovani: nonostante l’approvazione dell’articolo 718 del codice penale (e seguenti), sono ancora tanti i minori che si approcciano al gioco, anche in esercizi pubblici, sottolinea Matteo Iori, Presidente Coordinamento Nazionale Gruppi per Giocatori d’Azzardo e autore di un dossier intitolato “Politica e gioco d’azzardo. Poche luci e molte ombre”. Sono principalmente le macchinette ad attrarre gli appetiti di mafia, camorra e ‘ndrangheta, un mercato sul quale le organizzazioni criminali hanno da tempo allungato i loro tentacoli e dove le frodi riguardano anche le agenzie di scommesse, i gratta e vinci, le partite e i giochi on line. Al di là degli interessi criminali, anche la politica detiene un tornaconto dal gioco: direttamente attraverso i finanziamenti ai politici e indirettamente attraverso i personaggi che, conclusa una brillante carriera politica, entrano a far parte di consigli di amministrazione importanti, come è avvenuto per Augusto Fantozzi, ex ministro delle Finanze e poi del Commercio con l’Estero, ora presidente della Sisal, una delle più importanti aziende nel settore del gioco d’azzardo.
Un comune in provincia di Reggio oggi “cuore della ‘ndrangheta emiliana” è Brescello, feudo dei fratelli Francesco e Nicolino Grande Alacri. Qui l’organizzazione mafiosa ha esercitato – nella più completa invisibilità – il proprio potere: per farlo, ha utilizzato gli accordi, i compromessi e le soluzioni piuttosto che le minacce, la violenza e gli spari. “Durante la ricostruzione post-terremoto de L’Aquila, sono state bloccate due aziende legate alla ‘ndrangheta con sede a Reggio Emilia. Com’è possibile che questi personaggi, da Cutro (provincia di Crotone, ndr), siano arrivati così in alto?”, si chiede Tizian. “Probabilmente perché per molto tempo hanno fatto comodo grazie alla continua disponibilità di liquidi che elargivano e grazie al servizio che offrivano agli imprenditori, i quali non sono più costretti a ricevere un rifiuto da parte delle istituzioni”. Un’impresa oggi si mantiene sul mercato solo se viene aiutata a rimanervi: le organizzazioni criminali quindi si sostituiscono allo Stato, percepito come debole, lontano e inefficiente e questo crea “un gap, una mancanza di comunicazione tra Stato e imprese, in particolare nel triangolo tra Modena, Parma e Bologna”, afferma il giornalista.
Enrico Bini si è reso conto che ‘qualcosa non andava’ durante il suo lavoro nel grande cantiere dell’alta velocità per i tratti Bologna – Milano, e precedentemente Firenze – Bologna. “Nell’alta velocità ‘c’era di tutto e di più’ e queste figure sono entrate grazie a qualcuno che li ha introdotti”, spiega oggi allacciandosi al problema dei rifiuti: “Bisogna capire da dove sono partiti e chi li ha inviati nella ‘terra del fuoco’. La responsabilità tocca anche l’imprenditoria settentrionale, che non ha voluto indagare dove questi venivano spediti, interessata soltanto a spendere meno”. Queste tematiche sono state denunciate da Bini dal suo ingresso come Presidente della camera di commercio di Reggio Emilia. “Non tanto i cittadini comuni, ma chi ha degli oneri deve far luce su questi punti e agire”, dichiara rivolgendosi in particolare a quegli imprenditori e amministratori che hanno chiuso gli occhi e di questa realtà hanno approfittato. Prefettura e forze dell’ordine si danno da fare, ma il loro è un lavoro solitario: “E’ necessario andare oltre, avere un Nord che dica ‘basta’, perché solo così si può debellare il problema mafioso”.
L‘incontro si conclude con il ruolo che Tizian affida alla sua professione: “Fare il giornalista è un dovere verso chi non c’è più e verso la mia comunità; un giornalista non può rimanere indifferente verso ciò che vede e ciò che racconta”, afferma Tizian: “e le difficoltà ci saranno sempre poiché si tratta di entrare nel quotidiano, nei vizi delle persone, come quello della cocaina”, mercato strettamente legato ai clan mafiosi di cui la città di Bologna è il centro e raggio in Emilia Romagna, seguita – in Italia – da Milano, Torino e Genova. “Ma l’importante è avere l’umiltà di imparare da chi è più avanti di noi nella lotta alla mafia”.