Di Vincenzo Raffa
Antefatto.
Immaginate di leggere un libro. Fatto? Immaginate che quel libro lo legga davanti a voi lo scrittore stesso. Fatto? Immaginate ora che la storia che vi sta leggendo si intitoli «‘ndrangheta» e che lo scrittore parlante sia un pentito dell’organizzazione mafiosa più potente del mondo. Fatto? Bravi: siete nella stanza stracolma di gente del circolo Arci 1° Maggio, venerdì 5 aprile e davanti a voi, di fianco al giornalista Fabio Abati, c’è Luigi Bonaventura, ex reggente di una delle cosche ‘ndranghetiste più importanti della Calabria (dagli anni 80 in declino). Una storia vera.
Capitolo primo. ‘Ndrangheta.
“La ‘Ndrangheta è uno stile di vita, una religione, una filosofia. Essere un reggente, come lo sono stato io vuol dire tante cose: significa reggere il potere. Ti alzi la mattina e pensi a tenere pubbliche relazioni con le altre famiglie. Devi decidere chi vive. Devi decidere chi muore. Devi tenere disciplinata l’ala armata. Poi, beh, ovviamente bisogna tenere relazioni coi politici, ma essendomi dissociato a 35 anni non avevo questa possibilità.
Capitolo secondo. L’infanzia.
“Crescere nella ‘ndrangheta ti forma per tutta la vita. Sei un bambino soldato. Sì, proprio come quelli africani. La differenza è il colore della pelle, e qualche leone in giro. A dodici, tredici anni ti fanno sparare. Ricordo la mia prima volta: lasciai il pollice dietro il grilletto e sparando mi ferii. Mi derisero. Ci rimasi molto male”.
Capitolo terzo. La famiglia.
“La mamma è tutto. Sei tu. Ti forma. Ti ama. Ti odia. Ma è la mamma. Disubbidire alla mamma è grave, molto grave. Come si fa a disobbedirle? Non si disobbedisce. Da bambino mio padre mi portava agli allenamenti: andavamo a sparare, a saper distinguere le armi, a colpire le bottiglie e a distruggerle in mille pezzi. Il “bang”della pistola non era però seguito dal “bel colpo” di mio padre. Mi sarebbe piaciuto”.
Capitolo quattro. Il pentimento.
“L’episodio della mia collaborazione è stato uno degli omicidi che ho eseguito. Organizzo tutto io personalmente. Un omicidio perfetto. Bang bang bang. Morto. Torno a casa desideroso di compiacenza e di un “bravo” da parte di mio padre. I complimenti arrivano ma non sono felice. Anzi. Cercavo la loro gioia per quel che avevo fatto. D’altro canto l’ho fatto per la soddisfazione di tornare a casa e avere il loro compiacimento. Ma tornato a casa non capisco perché mio padre è felice di quello che ho fatto. Era orgoglioso di me. Ma io sentivo un vuoto dentro. E questo vuoto mi ha smosso dentro. Paradossalmente la mia salvezza è stata mia madre. Mio padre non si sposò per combine tra famiglie, ma semplicemente per amore. L’inizio della rovina. O della salvezza.
Mia madre, e la sua famiglia, erano diversi. Non erano mafiosi e il germe del cambiamento si insinuò nella mia mente. Dalla famiglia di mia madre ho ricavato la sensibilità per cui sono qui oggi. Poi arriva mia moglie. Bellissima. E poi i figli. Bellissimi. Passeggiavo avanti e indietro tutte le notti, nervoso e pensieroso. Davo un’occhiata ai loro visi addormentati nelle stanze semibuie e pensavo. Pensavo. Pensavo ancora.
La mia scelta era stata già presa. Lo dissi a mio padre. Perché? Non lo so. Volevo che mio padre capisse quello che avevo compreso. Gli dissi che non c’era onore nel rubare il futuro ai nostri figli. Non mi rispose. Ne parlò con gli altri. Dovevo ammazzare due pensionati che avevano qualche colpa in una faida di trent’anni prima. Era la prova del nove: o lo facevo o la mamma si arrabbiava. Non lo feci. La mamma si arrabbiò molto: una mattina vidi mio padre venire verso di me. Impugnava una pistola. Bang bang. Non mi prese. Bang bang bang. Lo ferii all’inguine. Fuggì. Voglio bene a mio padre. Sarà strano ma è pur sempre mio padre, anche se ha tentato di uccidermi. Lo ha dovuto fare”.
Capitolo cinque. La vita è bella.
“Ho capito che vivere bene si può. Che vivere senza delinquere si può. Vivo a Termoli. Senza scorta. Chiedo a don Ciotti di venire a casa mia a vedere come vivono i miei bambini. Ma non mi fermo. Collaboro con dieci procure diverse e dico la mia esperienza ai magistrati. Dico di tutto: da come si sta muovendo la mafia fino ad arrivare alle trattative. Come quella per uccidere il giudice Scopelliti: la ‘ndrangheta lo uccise per favore alla mafia. La trattativa sulla fuga dal carcere di Cortese. Quella di Duisburg. Conoscete la faida? Beh, dopo questo episodio c’è stata una trattativa imposta dalla comunità europea affinché questa faida non superasse le Alpi un’altra volta. Falcone e Borsellino? La mafia chiese aiuto alla ‘ndrangheta per fare il lavoro. Se vado avanti però vi svelo chi ha ucciso il maggiordomo. Sono notizie che sto dicendo ai magistrati. Ve ne parlerò nel secondo volume. Posso anticiparvi che quando nel ‘94 ero nel carcere di Crotone la mia famiglia mi disse che gli ordini erano di votare a livello nazionale Forza Italia mentre nella provincia An. FI alla fine vinse. Coincidenza. Molti dicono che la ‘ndrangheta fa politica. In verità è la politica che fa la ‘ndrangheta. E’ il politico che viene a comprare i voti dal mafioso”.
Capitolo sesto. Giorno dopo giorno.
“Ho un amico. Si chiama Giovanni Tizian. Gli hanno ucciso il padre. Quando lo conobbi gli chiesi scusa. Scusa perché quel padre ammazzato è stato ucciso dall’associazione criminale di cui facevo parte, ed era come se l’avessi ucciso io. Chiedere scusa è il primo passo. Voglio dimostrare di essere cambiato. Giorno per giorno. La mafia verrà sconfitta. Lo spero. Non bisogna però nascondersi dietro la targhetta di “antimafioso”. Essere antimafiosi. Giorno per giorno. Il fastidio che si arreca alle mafie è direttamente proporzionale all’impegno di tutti”.
Capitolo ultimo. Anche i cattivi hanno un cuore.
“Voglio leggervi una lettera che ha scritto mio figlio per me. Me l’ha inviata per la festa del papà. Recita così: “Grazie che ci ami tanto, perché ci fai sempre vincere, e soprattutto perché non ci fai vivere una vita criminale”.
Ecco. E’ per questo che vado avanti”.
Fine.