di Nando dalla Chiesa
Si vede che va davvero così. Le situazioni marciscono a lungo, la gente dispera perché tutti vedono e nessuno interviene. Poi a un certo punto succede il miracolo. Nelle forme più imprevedibili. Un piccolo fatto di cronaca che rivolta tutto. Oggi in Calabria come ieri a Ostia, come un millennio fa a Tangentopoli. A Ostia fu la testata di Roberto Spada a un giornalista Rai, con suo inseguimento spranga in mano e telecamera di fronte, a fare scoprire d’improvviso all’Italia che il cosiddetto “affaccio sul mare” della capitale viveva sotto una cappa mafiosa, infestato senza sosta da clan autoctoni. Così ci furono le inchieste e le condanne con aggravante mafiosa a furor di popolo.
Ora il virus maledetto, più della magistratura, più della educazione alla legalità, rischia di far esplodere la questione calabrese tutta insieme. L’Italia non ci ha potuto credere quando ha visto su Rai 3 Saverio Cotticelli nella parte del responsabile della sanità regionale. E’ stata messa di fronte al destino che tocca nei momenti della sventura quando sulle poltrone che contano si finisce in ossequio a quella paludosa cultura partitico-clientelare che detta le regole ascoltando i clan. Ed è inorridita. Poi ha visto arrivare e soprattutto ha sentito parlare il messia Giuseppe Zuccatelli. Infine ha sentito dell’arrivo di Eugenio Gaudio bloccato dalle rimostranze della moglie calabrese (“a Catanzaro no”) e soprattutto dalle proprie pendenze penali. E ha incominciato a chiedersi come diavolo sia amministrata la Calabria e perché. Perché in quella regione si sia accumulata tanta impunità al potere. Nessuno, mi pare, ha ancora ricordato che esattamente15 anni fa proprio a causa della sanità venne ucciso il vicepresidente del consiglio regionale Francesco Fortugno, medico di Locri e scomodo argine per i clan all’assalto del sistema sanitario. Ma quanto si è visto in questi giorni basta a chiedere ed esigere risposte, perché con i morti non si scherza, e sul “Corriere” Gian Antonio Stella ha raccontato l’orrore degli sperperi. Puro, purissimo effetto ’ndrangheta. Altro che welfare, altro che lavoro, altro che efficienza criminale.
Il fatto è che proprio mentre pensavamo questo siamo venuti anche a sapere che la Corte di Cassazione, come ha ben commentato su questo sito Federica Cabras, ha condannato in via definitiva a più di vent’anni Nicolino Grande Aracri da Cutro, diventato forse il boss più potente al Nord, già conquistatore dell’Emilia. Si tratta del processo Pesci, che trascina in piazza anche la Mantova recalcitrante, la città che quando si parla di mafia alza le spalle o si offende. E poi oggi 19 novembre siamo pure venuti a sapere che è stato arrestato il presidente del Consiglio regionale calabro Domenico Tallini. Concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio politico-mafioso, dice la nuova inchiesta della procura di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri. Appalti, e di nuovo, implacabile, la sanità nelle mani ‘ndranghetiste, di nuovo Grande Aracri, di nuovo Emilia. Quando la storia produce queste coincidenze vuol dire che soffia in una direzione. Vuoi vedere che quell’intervista tragicomica, quella strepitosa gag fatta di “e io che c’entro?” e di “mi hanno drogato” finisce per avere l’effetto della testata di Spada? Sarà una risata che vi seppellirà… Magari.