di Valentina Duosi
“Fare impresa sociale e buona economia con i beni confiscati alle mafie: si può!”.Questo il titolo del convegno organizzato ieri presso l’UniCredit Tower Hall da UniCredit Foundation e Libera, nell’ambito del 3° Festival dei beni confiscati alle mafie. Molti i temi trattati nel corso della mattinata dedicata al confronto e al dibattito: il ruolo dell’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione dei Beni Confiscati e Sequestrati alla Criminalità Organizzata, l’utilità sociale di una corretta gestione di tali beni e i possibili ambiti di miglioramento, il contributo del mondo del credito, l’importanza della formazione delle risorse umane impegnate nella valorizzazione di un bene sottratto all’incombenza mafiosa, i compiti della politica.
L’Agenzia Nazionale per i Beni Confiscati e Sequestrati
Le discussioni più accese hanno riguardato proprio le problematiche legate all’azione dell’Agenzia, ritenuta concordemente uno strumento utile e fondamentale per l’amministrazione di un patrimonio che ha raggiunto una dimensione economicamente consistente ed importante: secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno, infatti, nel solo periodo che va dall’1 agosto 2013 al 31 luglio 2014, i beni sequestrati alle mafie sono stati 10.769 (di cui 709 aziende) e quelli confiscati 3.513 (161 aziende), per un valore complessivo di quasi 7 miliardi di euro. E’ quindi evidente la ricchezza immensa, almeno in potenza, di questi possedimenti passati in mano statale, che possono diventare una risorsa inestimabile per la collettività. Esistono tuttavia alcune problematiche che rendono il lavoro dell’Agenzia lento, poco concreto, inefficace e a volte inefficiente. Come sottolineato da Giuseppe Carrozza, direttore del Consorzio Terre del Sole di Reggio Calabria: “dal momento del sequestro e confisca a quello dell’assegnazione del bene passano spesso anche 10 anni”. E’ chiaro che se i tempi sono così dilatati, il bene, gestito da una cooperativa sociale, non riuscirà mai a diventare sostenibile ma, al contrario, perderà credibilità agli occhi della collettività locale, resa testimone di un fallimento dello Stato nel contrasto alla criminalità organizzata. Concetto sottolineato anche dal Vice Presidente del Senato Valeria Fedeli che aggiunge come “la capacità di produrre valore sociale con i beni sequestrati o confiscati consenta di ricostruire quel rapporto fiduciario tra i cittadini e lo Stato, che la criminalità organizzata contribuisce fortemente e drammaticamente a corrodere“. Ecco perché si tratta di una vera e propria priorità nelle politiche di contrasto alla mafia. Il valore è altamente simbolico, come ribadito da Nando dalla Chiesa, Presidente del Comitato Antimafia del Comune di Milano: “il bene confiscato è anche memoria, esempio, simbolo positivo e virtuoso”.
E’ necessario dunque un cambio di mentalità, come spiegato da Giovanni Puglisi, Presidente della Fondazione Sicilia e Rettore dell’Università IULM di Milano: “l’organizzazione mafiosa funziona con tutte le regole tipiche di un’impresa privata. Chi opera nell’antimafia invece, Agenzia compresa, combatte con gli strumenti del pubblico, con la sua burocrazia ed un apparato di regole che non ha la scioltezza di intervento tipica del privato”. Da ciò deriva la scarsa agilità e poca funzionalità del servizio, è un problema di managerialità pubblica, di strategia gestionale, di mancanza di fondi. Paradosso sollevato anche dall’Assessore alle politiche sociali Pierfrancesco Majorino che ha ricordato come esista uno straordinario giacimento di progetti sociali ed imprenditoriali possibili che non partono a causa di meccanismi di gestione inefficaci. Chi riceve in assegnazione un bene confiscato, infatti, se ne deve fare carico in toto. Ma non sempre ci sono risorse sufficienti per mettere il bene a regime e farlo funzionare, le associazioni non possono assumersi da sole un impegno così grande e il rischio è quello del fallimento o dell’abbandono.
La formazione professionale e il ruolo delle banche
Queste riflessioni si ricollegano ad altre due tematiche affrontate nel corso della tavola rotonda: la necessità di creare un’imprenditoria alternativa a quella mafiosa, che sia in grado di coniugare efficacemente l’impiego delle risorse con il raggiungimento di un reale valore aggiunto economico e sociale; e il ruolo del credito quale promotore di sviluppo nelle comunità in cui opera.
Il primo punto è stato affrontato da Maurizio Carrara, Presidente UniCredit Foundation, Valentina Fiore, Amministratore Delegato del Consorzio Libera Terra Mediterraneo e Giovanni Puglisi. Le risorse umane, le persone impegnate nella riqualificazione del bene confiscato, sono infatti le vere protagoniste di questo processo virtuoso. Queste risorse vanno però formate, motivate, professionalizzate. L’esperienza dimostra, come riportato da Valentina Fiore, che è maggiormente stimolato chi riconosce nell’impegno profuso su e per i beni confiscati un’opportunità professionale qualificante e di crescita personale. In particolar modo se ciò accade in territori in cui mai si sarebbe pensato che potesse avvenire. Formazione e competenze concrete sono dunque fondamentali in questo processo perché “per condurre con successo un’impresa sociale è necessario avere delle buone basi di marketing, di commerciale, di comunicazione, oltre che orgoglio e passione”. Da qui l’importanza del ruolo delle università, come sottolineato dal Rettore Puglisi: “è importante incoraggiare i giovani verso questo tipo di esperienze e sviluppare le loro capacità imprenditoriali. La formazione manageriale va di pari passo con la crescita civile e delle coscienze”. L’auspicio quindi è che ogni università garantisca un sostegno professionale adeguato e una formazione specialistica a chi vuole acquisire competenze in questo settore. Si tratta di un adeguamento culturale nella gestione delle imprese per raggiungere quella credibilità necessaria per contrapporsi a ciò che la criminalità organizzata offre sul territorio.
“Operare nelle legalità uscendo dalla solitudine”. Sviluppando questo concetto, Maurizio Carrara ha infine spiegato che la Fondazione UniCredit si è posta esattamente il medesimo obiettivo, ossia sostenere l’inserimento lavorativo dei giovani tramite il riutilizzo dei beni confiscati alla mafia. Giuseppe Vita, Presidente UniCredit, è intervenuto sul ruolo delle banche, affermando che il mondo del credito deve contribuire allo sviluppo delle comunità in cui opera con azioni di solidarietà e filantropia. Uno degli strumenti a disposizione è promuovere l’imprenditorialità sociale, favorendo la creazione di nuova economia legale. Si tratta dunque di rifiutare l’illegalità, restituendo, allo stesso tempo, dignità ai cittadini e ricchezza alla collettività.
I compiti della politica
A seguire, le considerazioni di Maurizio Martina, Ministro delle Politiche Agricole e Forestali e di Roberto Maroni, Presidente della Regione Lombardia ed ex reggente del Viminale. Tirando le fila dei discorsi, Martina ha menzionato il recente Protocollo d’intesa tra il Ministero e Libera, punto di partenza per la valorizzazione dei terreni agricoli confiscati alla mafia. Tra le altre azioni previste ci sono la promozione di misure specifiche per i gestori di beni confiscati, l’attivazione di fondi di garanzia specificamente dedicati e la realizzazione di un’attività di ricerca per la mappatura e la possibile destinazione dei terreni e delle aziende confiscate nel settore agroalimentare. Riallacciandosi al fatto che il protocollo impegni soprattutto le Regioni, Roberto Maroni ha infine sottolineato quanto sia importante coinvolgere Regioni ed enti locali nel processo di gestione e assegnazione dei beni portato avanti dall’Agenzia Nazionale. Ciò servirebbe infatti a snellire le procedure e rendere più concreto ed efficiente il meccanismo. “L’aggressione ai patrimoni è lo strumento che più colpisce la legittimità mafiosa: sottrarre i beni vuol dire mettere in crisi la struttura organizzativa mafiosa, togliere potere e consenso sociale”. Ecco perché è compito delle istituzioni sostenere concretamente e con costanza le associazioni.
Le conclusioni del convegno sono state affidate a Don Luigi Ciotti. Il fondatore di Libera, con la passione e l’impeto che lo contraddistinguono, ha sottolineato come i beni confiscati siano stati “una svolta nella lotta alle mafie ed un’occasione di rigenerazione sociale ed economica, che hanno prodotto speranza, dignità e lavoro”. Le mafie impoveriscono. Le mafie non permettono all’impresa pulita di emergere. Mafie e corruzione assassinano la speranza ed il futuro. Tuttavia, il vero problema non sono i poteri illegali ma sono i poteri legali che si muovono illegalmente. In Italia corruzione e mafie sono due facce della stessa medaglia. Il dovere di tutti è quello di essere responsabili, di perseguire verità e giustizia, di prendere coscienza che le mafie “non sono un mondo a parte ma una parte del nostro mondo”. E’ necessaria una riforma culturale in Italia e prima di tutto la riforma delle nostre coscienze. Come diceva Rita Atria, testimone di giustizia: “la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarsi”. E’ un problema di dignità umana, di coscienza e di democrazia.