di Camilla Caron
Nella cornice maestosa del teatro dal Verme di Milano, il 7 dicembre scorso il sindaco Giuliano Pisapia ha consegnato un attestato di civica benemerenza, il cosiddetto Ambrogino d’oro, al Presidio giovani di Libera Milano “Lea Garofalo”, premiato insieme ad altri 63 cittadini con il merito di aver fatto bella Milano.
Il presidio, come da tradizione, è intitolato alla memoria di una vittima di mafia, Lea Garofalo, testimone di giustizia rapita a Milano nel novembre 2009 e in seguito uccisa.
Lea Garofalo, originaria di Petilia Policastro, ha pagato con la sua stessa vita la decisione di testimoniare contro l’ex compagno Carlo Cosco, padre della figlia Denise, e contro la sua stessa famiglia. La sua storia, come quella di molti testimoni di giustizia, è fatta di attese, spostamenti, nuove città, innumerevoli identità e nomi nei quali doversi riconoscere, senza poter mai rivelare il proprio. Desiderosa di riacquistare la dignità negata e la libertà tanto agognata decide di uscire dal programma di protezione nell’aprile del 2009, pochi mesi prima della sua scomparsa, manifestando in una lettera al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il disappunto di una giovane madre disperata per le lacune presenti nella gestione del programma, auspicando un segnale di speranza, soprattutto per sua figlia Denise. Del suo rapimento e della sua morte sono oggi accusati in primo grado Carlo, Vito e Giuseppe Cosco, Rosario Curcio, Massimo Sabatino e Carmine Venturino, tutti e sei condannati all’ergastolo grazie alla testimonianza chiave della figlia di Lea, Denise Cosco.
Il presidio è nato dall’entusiasmo di alcune ragazze che, grazie alla partecipazione a campi e raduni di Libera, si erano già precedentemente avvicinate all’approfondimento di tematiche collegate al mondo mafioso; una realtà, quest’ultima, con la quale spesso molti giovani non si confrontano per inettitudine, inconsapevolezza o oscurazione mediatica, seppur così fortemente presente. Mosse dalla volontà di spendersi conto le mafie nella e per la propria città, insieme ad altri ragazzi, nel settembre 2011decidono di informarsi e formarsi con serietà sul fenomeno mafioso. Ritengono importante agire con consapevolezza. È in questo modo che si avvicinano a Libera. L’obiettivo diventa quello di sensibilizzare la cittadinanza, con particolare riguardo verso i giovani, il motore della società presente e futura. Il nome del presidio viene scelto quasi di getto, apprendendo dalla cronaca la tragica uccisione di Lea Garofalo, un caso eclatante, recente, avvenuto in pieno centro a Milano, e il cui processo si avvia quasi contemporaneamente alla costituzione del gruppo.
Il sostegno dei giovani attivisti di Libera si rivolge specialmente a Denise, la loro coraggiosa coetanea, alla quale stanno vicini in tanti modi, per esempio partecipando all’udienza in cui la ragazza è chiamata a testimoniare. Non potendo direttamente avere un colloquio con lei, riescono a farle recapitare un biglietto, firmato da tutti e consegnatole dal suo avvocato, Ilaria Ramoni. “All’uscita una voce calda ci ha richiamato”, raccontano, “Bravi ragazzi! Denise è contenta e ha detto che vi pensa e siete la sua forza”. È la voce di Enza Rando, avvocato di Libera nonché legale di Denise.
È sorprendente pensare che un tale esempio di solidarietà ed impegno civile sia opera di un gruppo di giovani ragazzi e ragazze. Merito del Comune è stato riconoscere e premiare il senso più profondo del loro progetto.
L’attività è continuata anche all’esterno delle aule giudiziarie con un’intensa opera di sensibilizzazione e coinvolgimento dell’intera cittadinanza. Il presidio rappresenta un magnifico esempio di una Milano onesta e coraggiosa, capace di sconfiggere l’omertà e la violenza con la forza della solidarietà e l’integrazione del proprio impegno civico, viene affermato prima che il referente del presidio Giulio Cesani ritiri il premio, aggiungendo poche parole di ringraziamento: “come presidio volevamo dedicare questo attestato al coraggio di due grandi donne, Lea e Denise. Volevamo inoltre ringraziare il comune per l’aiuto che ci ha dato nel piantare un albero in onore di Lea Garofalo, testimone di giustizia, davanti alla biblioteca di parco Sempione; grazie Lea, grazie Denise”.
La dedizione e la serietà con cui questi ragazzi affrontano l’impegno preso trasmette uno slancio vitale che risulta incredibilmente prezioso di questi tempi, e che permette di rimettere in discussione il valore che siamo soliti dare alle nostre azioni, soprattutto a quelle che non portiamo, volenti o nolenti, a termine.
Una delle ultime iniziative del presidio è, come ricordato, la manifestazione “Un albero per Lea Garofalo”, organizzata in occasione del terzo anniversario della sua morte il 24 novembre scorso, in mezzo al polverone creato dalle nuove prove rilevate dagli inquirenti sulle modalità del suo omicidio.
E’ in una fredda giornata autunnale che Milano decide di tributarne il coraggio: sulle note di “Sebben che siamo donne” il Coro delle Voci di mezzo, gruppo di canto popolare nato alla fine degli anni ’90, scalfisce il cosiddetto onore criminale intonando una cantata in ricordo di Lea; la cittadinanza milanese intorno alle 3 inizia a riversarsi davanti all’Arco della pace, luogo del rapimento e, non a caso, punto di partenza del corteo diretto verso la biblioteca di parco Sempione.
Sebben che siamo donne
Paura non abbiamo
Per amor dei nostri figli
Per amor del nostri figli
In lega ci mettiamo (..)
È così che una canzone di lotta proletaria al femminile diventa un manifesto della tenacia di madri che, come Lea, lottano per assicurare un futuro migliore ai proprio figli, un manifesto della fatica e della perseveranza nel rincorrerlo e dello sconforto nel vederlo scivolare via e perdersi tra gli sguardi indifferenti della folla che passa e va.
Il corteo viene aperto e chiuso da giovani, perché una speranza di cambiamento non può che germogliare e fiorire dalle nuove generazioni, pronte a ricordare a Denise che tra uccidere e morire c’è una terza via, vivere. La memoria del sacrificio di Lea diventa importante non solo come esempio di valore civico, ma anche in quanto parte viva e fondante del futuro di Denise. Dopo una rappresentazione teatrale, un concorso fotografico, l’esibizione di un trio di ottoni, e la creazione di attività interattive per creare attraverso il dialogo una maggiore consapevolezza sulle tematiche (come la biblioteca vivente) si giunge finalmente all’affissione della targa accanto all’albero piantato in onore di Lea: testimone di giustizia, vittima di cultura mafiosa.
Secondo un proverbio cinese il momento migliore per piantare un albero era venti anni fa. Il secondo momento migliore è ora. Circondato da miti e antiche leggende, luogo di riti di propiziazione, simbolo sacro di fertilità e infinito, portatore di beni, trasmettitore di poteri magici, l’albero ha rappresentato nei secoli la purezza delle origini contro la frenesia e l’artificiosità dell’età moderna; oggi celebra una vita e una morte, una decisione, una presa di posizione, un atto di forza. Oggi rappresenta il coraggio e la solitudine di una donna contro una cultura capillarmente diffusa come quella mafiosa. Si parte quindi proprio da dove la cultura mafiosa è nata, dalla terra, per celebrare il sacrificio di Lea Garofalo. Un albero simbolo non solo di memoria ma anche rinascita e speranza. Speranza che un giorno Denise possa passare di qui e leggere i messaggi che decine di persone hanno appeso all’albero su foglie di carta che non subiscono il cambio delle stagioni, dimostrando che si può sopprimere una voce ma non un’idea.
Il poeta tedesco Hebbel ha detto: “Il primo uomo mette l’intimo del frutto, il nocciolo, sotto la terra che lo produsse, per gratitudine e sacrificio. E la terra crea un nuovo albero.” Nelle radici di questo albero è racchiuso ciò che di più puro e intimo si possa trovare nella coscienza civile e coraggioso nell’agire umano. La speranza è che da esso possa scaturire la forza di Lea di dire no e l’auspicio che “in questo paese vivere giustamente si può, nonostante tutto”.