di Federica Cabras
Ci sono inchieste di mafia che passano sotto silenzio. E quando giungono a conclusione, rischiano di scomparire quasi completamente dalla memoria collettiva. È questo il caso dell’inchiesta nota come “Pesci” avviata dalla Direzione distrettuale antimafia di Brescia che nel 2015 ha portato all’arresto di esponenti del clan di ‘ndrangheta Grande Aracri nella provincia di Mantova e Cremona. Le indagini, legate alla maxi inchiesta “Aemilia”, avviate in seguito a un presunto caso di abuso edilizio, hanno portato alla luce una storia di mafia lunga quasi quarant’anni. Come in Emilia, i primi esponenti della ‘ndrangheta di Cutro (KR) erano arrivati nelle province di Mantova e Cremona agli inizi degli anni Ottanta, inserendosi nel settore edilizio e degli autotrasporti. Con le loro aziende avevano sostituito un pezzo di imprenditoria locale storicamente attiva nel settore edilizio.
Lo scorso ottobre la Corte di Cassazione ha emesso la sua sentenza. Sono state confermate le condanne stabilite nel precedente grado di giudizio per i principali indagati accusati di aver commesso estorsioni, minacce, detenuto armi e corrotto il mercato edilizio mantovano: 20 anni e 8 mesi di reclusione per Nicolino Grande Aracri, il capo supremo della ‘ndrangheta di Cutro; 17 anni e 8 mesi per il boss di Mantova Antonio Rocca; 16 anni e 6 mesi per Giuseppe Loprete. I giudici della Corte Suprema hanno accolto i ricorsi della Dda di Brescia nei confronti di altri imputati. Tra questi compare anche Alfonso Bonaccio che, assolto in appello, ora dovrà sottoporsi a un nuovo processo. Si tratta di una sentenza storica, che sancisce un punto di non ritorno e conferma le condanne emesse per la prima volta dal Distretto di Brescia per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso.
L’inchiesta “Pesci” è dunque giunta a conclusione, senza clamore. Il primo processo di ‘ndrangheta a riguardare le province di Mantova e Cremona è stato celebrato a Brescia, lontano dai territori direttamente coinvolti. Senza la partecipazione diretta dei cittadini e dei tanti giovani delle scuole che a Reggio Emilia avevano assistito alle udienze del troncone emiliano dell’inchiesta accompagnati dai loro insegnanti.