di Sara Manisera
Le arance di Rosarno approdano a Milano. Sabato 21 gennaio, al centro sociale cittadino Zam in via Olgiati 12, si è tenuta la distribuzione delle arance solidali, distribuzione che fa parte della più ampia campagna “Ingaggiami contro il lavoro nero – riprendiamoci i campi per coltivare sviluppo e integrazione” avviata la scorsa estate dopo lo sciopero dei migranti a Nardò, in provincia di Lecce. Il ricavato delle arance solidali vendute ieri servirà a finanziare un centro di aggregazione per i lavoratori della terra, italiani e africani dell’Associazione “Africalabria – uomini e donne senza frontiere” dentro un edificio confiscato alla mafia a Rosarno.
Per chi si fosse perso qualche passaggio ecco un breve riepilogo: due anni fa, in seguito al ferimento di alcuni lavoratori stranieri, scoppia a Rosarno – in provincia di Reggio Calabria – la più grande rivolta di braccianti africani. L’Italia e l’Europa scoprono sorprendentemente il vero volto dell’agricoltura Made in Italy: ghetti, sfruttamento e caporalato, il tutto servito e accompagnato dalle ripetute ed ingiustificate violenze firmate ‘Ndrangheta.
Benché la rivolta abbia destato, sull’onda dell’emotività, le coscienze dei sindacati, degli ispettori del lavoro, delle amministrazioni comunali, regionali e del governo, a due anni dalla rivolta del 7 gennaio del 2010, nulla è cambiato. Anche l’attuale ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione, Andrea Riccardi, ha potuto constatare di persona pochi giorni fa le reali condizioni in cui versano i ragazzi africani che vivono sul territorio rosarnese. All’inizio della stagione della raccolta di clementine e di arance infatti, migliaia di lavoratori stagionali si riversano nelle campagne a ridosso di Rosarno e di altri comuni limitrofi della Piana di Gioia Tauro; queste persone lavorano due o tre giorni alla settimana, se fortunati, per nove o dieci ore a venticinque euro o ad un euro per cassetta d’arancia riempita. E per ogni stagione, sono costretti a vivere come animali da soma in casolari ai limiti dell’umanità privi di acqua, luce e riscaldamento, nascosti come i peggiori fuggitivi nel buio delle campagne calabresi.
Ecco, sono queste le conseguenze delle tanto acclamate ed esaltate leggi promosse da fanatici partiti; la legge Bossi-Fini n.189/2002, una vera e propria estorsione legalizzata che crea un legame inscindibile tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro e la legge n.94/2009 introdotta con il pacchetto sicurezza del 2009 che inventa il reato di disoccupazione solo per gli stranieri.
Ma queste sono soprattutto le conseguenze di un sistema agroalimentare basato sullo sfruttamento della manodopera bracciantile, a Rosarno, come in tutto il sud Italia, un intero sud incardinato nelle logiche capitalistiche dei gruppi industriali; un sistema che premia il profitto, la speculazione, i centri commerciali e le infiltrazioni mafiose nelle lunghe catene della distribuzione. Un modello di agricoltura che spinge i piccoli produttori a vendere la terra perché le grandi catene alimentari – Esselunga, Auchan, Carrefour e Coop – pagano così poco il prodotto che non conviene neanche raccoglierlo. E’ questo il modello che si sta determinando in Italia; sfruttamento dei migranti, scomparsa della cultura agricola e ritorno al latifondo.
Ciò che è avvenuto in questi giorni in diverse città italiane – da Milano, a Firenze, da Roma a Perugia fino a Cosenza – è pertanto una pietra miliare per l’attivazione di un circuito alternativo alla Grande Distribuzione Organizzata, che ha visto già con la campagna “SOS ROSARNO” il suo più positivo successo; un circuito alternativo che attraverso la rete dei Gas (Gruppi d’Acquisto Solidali), collega produttori e consumatori offrendo un buon prodotto, a prezzi popolari senza sfruttare nessuno.
E’ questa dunque la strada da seguire non solo per difendere il diritto al lavoro, ma soprattutto per salvare la nostra agricoltura e la nostra terra, che oggi senza i migranti sarebbe perduta.