di Sara Manisera

ingroia in guatemalaQuasi centocinquanta minuti di fittissimo dialogo, sono quelli che si sono tenuti sabato 3 novembre 2012 nella storica e affollatissima aula del ‘400 a Pavia e che hanno visto come protagonisti il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia e il giornalista e scrittore Saverio Lodato. L’incontro, organizzato  dal Coordinamento per il diritto allo studio – UDU e dall’Osservatorio antimafie Pavia, con il patrocinio della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pavia e dell’Ente per il diritto allo studio universitario, è stato programmato in vista della partenza del magistrato per il Guatemala, che andrà a dirigere, su incarico dell’ONU, un’unità investigativa specializzata nella lotta al narcotraffico.

L’allontanamento – caricato di una doppia emozione, le celebrazioni per il ventesimo anniversario delle stragi di Falcone e Borsellino e la recente apertura del processo sulla scellerata trattativa tra Stato e mafia, come ricorda Lodato – segna la chiusura di un importante capitolo professionale e personale per il magistrato: pubblico ministero a Marsala prima, a fianco di Borsellino; sostituto procuratore a Palermo dal ’92 con Gian Carlo Caselli, poi; infine, pubblico ministero e procuratore aggiunto della Procura distrettuale antimafia palermitana.

Lascia così lo scenario italiano un magistrato, ma soprattutto un uomo, di grande valore intellettuale e culturale che ha sempre difeso l’autonomia e l’indipendenza della magistratura italiana; un “partigiano della Costituzione”, come egli stesso si è definito, che ha saputo segnare con profondo spirito garantista  tutti i più importanti processi che si sono tenuti in Sicilia contro Cosa Nostra negli ultimi vent’anni. E che continua a farlo tutt’oggi, accettando con entusiasmo e con un pizzico di velata malinconia la nuova sfida ai Narcos del Centro America. Sarà infatti il magistrato Nino di Matteo a rivestire la funzione di Pubblico Ministero durante il processo sulla trattativa tra Stato e mafia, che vedrà allo stesso banco degli imputati mafiosi, rispettabili uomini dello Stato e politici di lunga carriera.

“Solo un arrivederci, non certo un addio”, ha ribadito Ingroia, chiarendo che il suo allontanamento servirà a rafforzare le strutture internazionali antimafia. Lo stesso Falcone, del resto, aveva intuito in maniera lungimirante l’importanza di una task force internazionale preparata a contrastare la globalizzazione dell’economia illecita e le organizzazioni di stampo mafioso.

E intanto in Italia? La seconda Repubblica pare essere al suo tramonto e le recenti elezioni amministrative siciliane ne sono un chiaro segnale. Il silenzio di Cosa nostra, tuttavia, non deve essere concepito come una presa di distanza dell’organizzazione dal contesto politico, anzi: “in questo momento dietro le quinte, così come si scompongono e si ricompongono progetti di alleanze politiche tra questo e quel partito, tra questo e quella formazione politica, anche i consulenti politici della mafia si stanno muovendo per intrecciare, per creare  le premesse per nuovi patti politico-mafiosi di lunga durata. La mafia si impegna non in rapporti contingenti ma stabili. Questo è avvenuto all’inizio della prima repubblica. Questo è avvenuto all’inizio della seconda. Non dico che avverrà all’inizio della terza ma le organizzazioni mafiose fanno di tutto per trovare referenti politici stabili che gli permettano di stipulare nuovi patti. Su questo tema occorre grande attenzione, grande vigilanza e anche qualche grossa iniziativa politica”, ammonisce Ingroia.

L’occasione a cui si riferisce il magistrato è quello di rendere pienamente efficiente il recente decreto anticorruzione che “dovrebbe essere accompagnato dalla riscrittura dell’articolo 416 ter del codice penale, ovvero lo scambio elettorale politico-mafioso”. Oggi, infatti, il politico è punito solo quando, in cambio dell’appoggio elettorale, eroga somme di denaro mentre non è penalizzata la promessa di favori, utilità, concessioni, appalti o interventi di tipo politico a favore delle organizzazioni di stampo mafioso.

Sarebbe pertanto auspicabile che il Parlamento, per difendersi dagli accordi pre-elettorali politico-mafiosi, rendesse efficace questa norma, non solo per tutelare il parlamento stesso e i suoi cittadini da politici che dovessero scendere a patti con la mafia, ma sopratutto per lanciare un chiaro segnale di chiusura di un certo modo di governare e di coraggio politico che il paese istituzionale deve al paese reale, cioè ai suoi cittadini.

 

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