Per molti concittadini era semplicemente il custode del campo sportivo, un dipendente comunale. Per Salvatore Riina, invece, era uno dei fedelissimi, che amministrava per conto della mafia gli affari a Corleone, la cittadina dov’è nato il potere del clan mafioso dei corleonesi. La verità è venuta a galla ieri mattina, quando è scattata l’operazione delle forze dell’ordine chiamata “Grande Passo”, che fa luce sugli assetti attuali del mandamento di Corleone e sugli appalti pubblici su cui la cupola era in grado di mettere le mani. Oltre cento i carabinieri messi in campo per l’indagine, avviata nel 2012 dalla Dda di Palermo, la cui protagonista è ancora una volta quell’angolo di Sicilia settentrionale che negli anni Settanta partorì la peggiore stagione mafiosa dell’isola.
In manette, assieme ad altre quattro persone, è finito Antonino Di Marco, dipendente comunale di Corleone. Classe ’56, per molti concittadini era soltanto il custode del campo sportivo, per gli inquirenti un “fedelissimo” di prima grandezza di Riina al vertice dell’attuale mandamento di Corleone. Secondo gli investigatori Di Marco era riuscito a creare un sistema illecito d’assegnazione degli appalti comunali: avrebbe favorito aziende vicine a Cosa Nostra imponendo agli imprenditori affidatari l’assunzione di personale scelto dai clan, percependo per regola non meno del 3 per cento sull’importo totale dei lavori. Per i suoi affari il custode del campo sportivo di Corleone si serviva di altri soggetti, residenti nel vicino comune di Palazzo Adriano, quattro dei quali sono stati arrestati questa mattina nel corso dello stesso blitz: gli operai Franco e Pasqualino D’Ugo, nati rispettivamente il 27 novembre 1965 e il 20 maggio 1961, manovalanza operativa del gruppo; Pietro Paolo Masaracchia detto “l’ingegnere”, impiegato forestale, nato a Palazzo Adriano il 15 marzo 1950, cassiere della famiglia; e l’imprenditore edile Nicola Parrino detto “svuota sacco”, nato a Palazzo Adriano il 15 dicembre 1953, luogotenente di Di Marco. Fra di loro, secondo i carabinieri di Corleone e del nucleo investigativo della vicina Monreale, vi era un sodalizio criminale d’eccellenza. Furti, danneggiamenti all’interno dei cantieri, bottiglie incendiarie e richiesta di pizzo: questi i metodi intimidatori utilizzati dai cinque arrestati. I proventi delle estorsioni erano gestite in cassa comune e utilizzati per finanziare le spese dei sodali. Antonino Di Marco, dipendente del comune di Corleone, era il loro supervisore.
La scoperta dell’insospettabile Di Marco fa sbottare di rabbia Corleone. «Voglio mantenere la distanza più assoluta da questo dipendente che, come molti altri funzionari comunali, ho trovato come eredità delle vecchie giunte. Sono sindaco da due anni mentre Antonino Di Marco è assunto in Comune da almeno venti. E non solo ha tradito il suo ruolo di dipendente comunale e la fiducia che gli altri funzionari potevano riporre in lui, ma anche e soprattutto quella dei cittadini: utilizzava i locali che appartenevano alla cosa pubblica per i suoi interessi personalistici e per quelli di Cosa Nostra. È così che la mafia fa male alla comunità, arricchendo le sue tasche in sfregio al bene comune. Di Marco è un caso inammissibile e dovrà essere l’ultimo della storia di Corleone». Chi parla è Leoluchina Savona, una donna alta, capelli corti, spalle da tenente e voce ferma. Sul volto porta dei grandi occhiali e, mentre parla, impartisce con ferma gentilezza ordini ai dipendenti comunali che le stanno attorno. È sindaco di Corleone dal maggio 2012. Un sindaco donna nel paese che, al cinema, tutti si sono abituati a vedere popolato di vedove vestite a lutto, sedute a ridosso di case di pietra bianca con i tetti quadrati.
La Savona è nata il 3 marzo del 1970, nella stessa primavera in cui alcuni suoi compaesani si riunirono in associazione, creando una fazione all’interno di Cosa Nostra e determinando la storia non solo di quell’angolo di Sicilia settentrionale ma dell’Italia intera. Lei, riconosciuta pubblicamente come «il sindaco della legalità», ha bene in mente che cos’è la mafia. «Quando si sente parlare della mafia come un cancro è a questo che bisogna far riferimento: un cancro che si infiltra ovunque non ci sia un senso etico e morale. Un cancro che rende cieche le persone non facendogli apprezzare la bellezza del territorio. Oggi Corleone non è più il paese di mafia che era durante la reggenza del clan di Liggio, Riina, Provenzano e Bagarella. Oggi Corleone ha un nuovo corso: è per lo Stato e combatte ogni giorno a fianco dello Stato», dice la Savona, che lo scorso gennaio ha ricevuto dall’Ordine dei Giornalisti della Sicilia il premio Mario Francese, grazie al coraggio che quotidianamente mostra nell’amministrare il suo paese. Oggi, sostiene lei, «da un lato abbiamo la Corleone che minaccia Di Matteo e finisce sulle prime pagine per le intercettazioni di Riina e oggi per l’arresto di un dipendente comunale, dall’altro la Corleone pulita che sta accanto alle vittime della barbarie di concittadini che disconosciamo, quella Corleone pulita che promuove la legalità assieme ai ragazzi della Cooperativa “Lavoro e non solo” e di “Libera”, che qui gestiscono terreni confiscati alla mafia. Nelle scuole, nelle piazze, in Comune e affianco alle forze dell’ordine e dei magistrati».
Alla notizia dell’ennesimo arresto Corleone si è svegliata stranita: è una giornata di sole, c’è chi si è alzato presto per raggiungere il posto di lavoro, le donne anziane col capo coperto puliscono casa e i ragazzi vanno a scuola in motorino. Ma in silenzio. «Le cose si fanno con tutta la responsabilità», afferma Di Marco ascoltato dagli inquirenti. Incensurato, in paese manteneva un atteggiamento di basso profilo per non insospettire le forze dell’ordine che nella sola Corleone, fra Polizia di Stato, Carabinieri, Finanza e Guardia Forestale, raggiungono le 40 unità, per poco più di 11mila abitanti. Intercettato, Di Marco descrive la sua linea d’azione: prudente in pubblico, rispettosa delle regole di affiliazione in privato e decisa e carismatica nel mettere in atto le azioni criminali. E oggi per le strade c’è silenzio, un silenzio intimo che sa di vergogna perché, per l’ennesima volta, Corleone appare ancora una volta sui media nazionali come un paese nelle mani della mafia. «Questo silenzio assordante è doloroso, doloroso e inaccettabile quanto sapere che una persona che girava per gli uffici pagato con soldi pubblici fosse ancora legata agli esponenti di Cosa Nostra. È uno sfregio in danno a tutti i cittadini onesti che da anni e ogni giorno, pur portando la croce di essere nati nel paese di Riina, si impegnano per migliorare Corleone. Provo ribrezzo pensando che il soggetto in questione camminasse negli stessi locali comunali che qui rappresentano lo Stato. Ma anche oggi ci rialzeremo e continueremo a denunciare», dice Leoluchina Savona.
Quello dei dipendenti comunali è però un problema. Dice ancora il sindaco: «Non li sceglie il sindaco quando viene eletto, e neppure c’è la piena facoltà di togliere l’incarico lavorativo se si nota qualcosa che non va. Ripulire un paese è un compito difficile. Quindi nella pratica ci si ritrova a costruire un nuovo comune di legalità con soggetti che da anni vivono dentro queste mura, magari tessendo i loro affari. Ed è difficile così non ricadere nel facile spot Corleone uguale mafia. Ma la mia squadra da tempo ha intrapreso il cammino della legalità».