di Evelyn Crippa
La gran parte delle merci oggetto di commercio internazionale sono oggi trasportate attraverso le navi e transitano, quindi, attraverso i porti.
Secondo l’Eurostat, nel 2018 hanno viaggiato via mare il 79,3 per cento delle merci esportate dall’Italia e circa il 99,4 per cento di quelle importate. La navigazione commerciale costituisce, infatti, un settore fondamentale per l’intera economia globale e non solo: anche le organizzazioni criminali sfruttano questo canale per i loro traffici.
I porti rappresentano infatti una grande opportunità per la criminalità organizzata. In particolare, il porto di Genova che, oltre a essere il più grande in Italia, sia per estensione che per linee di navigazione, occupa una posizione geograficamente strategica. Si tratta infatti di un punto di incontro tra la Versilia, la Costa Azzurra, le regioni del nord Italia e il nord Europa. Inoltre, ha una serie di collegamenti ben stabiliti con rotte marittime per l’America latina.
Nel porto di Genova si verificano diverse attività illegali. In primo luogo, possiamo trovare attività legate al traffico di stupefacenti. In secondo luogo, vi sono traffici legati alla merce contraffatta, rifiuti pericolosi e traffico di esseri umani. Inoltre, per quanto riguarda la merce contraffatta è stato rilevato che il porto di Genova rappresenta un importante centro per l’introduzione e il transito di tali prodotti. La merce contraffatta o da contraffare proviene in gran parte dalla Cina e dall’India, mentre le etichette dei prodotti giungono dal Marocco e dalla Tunisia.
I rifiuti illeciti vengono spesso nascosti in container contenenti capi d’abbigliamento o all’interno di vecchi elettrodomestici e di veicoli dismessi destinati soprattutto a Paesi dell’Africa o all’Oriente e in particolare a Cina e India. Per quanto riguarda il traffico di stupefacenti possiamo dire che il denaro da immettere nel mercato legale di beni e servizi arriva nella maggioranza dei casi dal traffico di droga via mare: “Gli ingenti quantitativi di stupefacenti rinvenuti e sequestrati nei porti di Genova e La Spezia – scrive la Dia – continuano a rappresentare il motivo conduttore dell’azione criminale nel territorio Ligure.”
Anna Sergi, Professoressa ordinaria di criminologia e vicedirettrice del Centro di Criminologia dell’Università dell’Essex (UK), afferma che: “Il porto di Genova attrae principalmente traffici di cocaina ma non disdegna traffici di altre droghe. Quando si tratta di cocaina, come spesso accade in Italia, è la ‘ndrangheta a gestirli, ma in modo un po’ più complesso da come spesso viene raccontato. Non hanno infatti necessariamente le mani in pasta per quanto riguarda i traffici stessi. L’”andraghetista” è spesso colui che finanzia l’importazione di cocaina ma non sempre la gestisce.”
Il porto è un luogo chiuso, accessibile solo al personale autorizzato e interdetto al pubblico. Come possono, pertanto, le organizzazioni mafiose accedere a tale spazio?
In due modi principali:
- Vi sono persone, appartenenti alle organizzazioni criminali, che si fanno assumere per lavorare all’interno del porto, in modo tale da mantenere dei continui collegamenti con l’economia legale.
- Quando le organizzazioni criminali non riescono ad entrare direttamente nelle realtà portuali, perché complesse e inaccessibili, allora sfruttano le cosiddette “Economie o Strutture di Servizio”. Con tale metodo le organizzazioni mafiose si avvalgono di persone che lavorano all’interno del porto, le quali non sono affiliati all’organizzazione mafiosa. Inoltre, possono interfacciarsi con organizzazioni criminali diverse, a seconda delle loro necessità e dei loro interessi. Le persone all’interno del porto hanno vari ruoli: possono, per esempio, avvertire se un container utilizzato per il traffico illecito verrà sottoposto a controllo dalle autorità doganali o dalla Polizia. Tramite questo escamotage la mafia potrà agire in maniera tempestiva per eludere i controlli. Questo modus operandi avviene soprattutto nel porto di Genova.
È recente la notizia che proprio nel porto di Genova Prà un lavoratore portuale è stato condannato a 10 anni di reclusione con l’accusa di essere complice di organizzazioni mafiose. L’uomo era stato arrestato a febbraio mentre cercava di portare fuori dal porto alcuni borsoni con oltre 400 chili di cocaina, arrivati di nascosto in un container a bordo della nave Msc Adelaide. Secondo gli inquirenti della Dda, la droga era destinata alla criminalità organizzata che corrompe camalli per poter scaricare in porto la droga.
In Liguria, così come in altre regioni, non è mai stato facile parlare di mafia. La Liguria non è originariamente terra madre di organizzazioni mafiose e questo è uno dei motivi per cui parlare di tale argomento, su un territorio considerato “un’isola felice”, non è mai stato semplice. La coscienza, in merito a questo fenomeno, sta crescendo negli ultimi anni, mentre sembra rimanere una certa dose di omertà, confermata anche dalle recenti parole del Procuratore di Imperia: “Il mio discorso di Ventimiglia dello scorso anno lanciava un appello. Ho detto che bisogna trovare il coraggio di denunciare… è passato un anno esatto e io sul mio tavolo non ho visto nemmeno una denuncia…” Conclude Lari: “Credo che il modo migliore per ricordare Falcone e Borsellino sia fare i processi, denunciare i fatti, trovare il coraggio di avere fiducia nella magistratura.”