di Sara Manisera

Ve lo ricordate Yvan Sagnet, lo studente camerunense di ingegneria informatica del Politecnico di Torino? Probabilmente  questo nome non a tutti rievoca qualcosa ma la sua è una di quelle storie che vanno raccontate. Arriva da Duala grazie ad una borsa di studio che gli permette di iscriversi alla prestigiosa università antonelliana.  Come tutti gli studenti, per mantenersi e pagarsi l’affitto, svolge diversi lavori nel capoluogo piemontese ma l’estate scorsa, il passaparola di amici, lo spinge a scendere nelle campagne del sud Italia, precisamente a Nardò, in provincia di Lecce, per la stagionale raccolta dei pomodori. Ciò che si trova davanti però è tutt’altro che lavoro: dodici ore di interminabile fatica sotto il  cocente  sole  salentino alla mercé dei caporali, per pochi euro al giorno. Come in molte campagne in cui si raccoglie il pomodoro infatti, il compenso è stabilito a cottimo e il cassone di tre quintali è l’unità di misura; i lavoratori vengono in genere pagati € 3,50 a cassone che, per una giornata lavorativa, si traduce in circa, venticinque euro a cui vanno poi sottratti i soldi da corrispondere al caporale, dai 2 ai 5 euro. Il guadagno giornaliero nella raccolta del pomodoro dipende quindi esclusivamente dalla forza fisica, dalla resistenza individuale e dall’esperienza maturata negli anni; più raccogli e più guadagni. E così mentre nelle sconfinate campagne del tacco d’Italia migliaia di persone straniere vengono sfruttate – in molti casi dai loro stessi connazionali, ex lavoratori stagionali, che si sono guadagnati la fiducia del proprietario terriero, il quale ha appaltato loro il reclutamento di altri lavoratori – a pochi  chilometri di distanza le bellissime spiagge pugliesi sono gremite di turisti ignari di cosa veramente ci sia dietro le nostre passate di pomodoro. Quest’estate però qualcosa è cambiato; circa 400 migranti di origine africana, ospitati nella Masseria Boncuri a Nardò e guidati da Ivan Sagnet hanno dato vita al primo sciopero autorganizzato di braccianti agricoli stranieri; per quasi due settimane questi uomini hanno incrociato le braccia, per chiedere il rispetto del contratto provinciale e l’assunzione diretta dalle aziende ma soprattutto hanno protestato contro il perverso sistema agricolo basato sul caporalato e sullo sfruttamento. Nardò come Rosarno, Castelvolturno, Pachino, Alcamo e Palazzo San Gervasio. Un’intera agricoltura piegata dalla concorrenza internazionale, ricattata dalle grandi lobby agroindustriali che sempre di più sopravvive solo attraverso lo sfruttamento dell’ultimo e invisibile anello della catena: quello dei braccianti, i migranti stagionali.

Da quella lezione di civiltà e di presa di coscienza ne è nato un libro scritto a più mani da Brigate di Solidarietà Attiva, Devi Sacchetto, Gianluca Nigro, Mimmo Perrotta e Yvan Sagnet “ Sulla pelle viva. Nardò: la lotta autorganizzata dei braccianti agricoli” che verrà presentato mercoledì 8 febbraio al centro di aggregazione ZAM in via Olgiati 12 a Milano. Saranno presenti lo studente-bracciante portavoce dello sciopero Yvan, Maria Desiderio, coordinatrice nazionale delle Brigate di Solidarietà attiva, Ahmed un bracciante di Rosarno e Paolo Bellari del centro sociale il Folletto di Abbiategrasso. Durante la serata sarà inoltre possibile acquistare le arance solidali della campagna “Ingaggiami contro il lavoro nero” prodotte a Rosarno senza sfruttamento né mafia.

 
 

 

 

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