La seconda giornata del seminario torinese di Libera, “Mafie al Nord”, ha visto i numerosi interventi analizzare e descrivere in particolare proprio la presenza delle organizzazioni mafiose nelle regioni settentrionali. Il ritardo politico, culturale e informativo che attualmente sta iniziando ad essere colmato ha bisogno di ulteriori sforzi e di una programmazione seria per il contrasto della criminalità mafiosa, non solamente giudiziaria ma anche in altri ambiti della nostra società.
I lavori mattutini sono stati introdotti da Nando dalla Chiesa, docente all’Università Statale di Milano, che ha indicato nel mutismo istituzionale e nell’omertà sociale le cause della penetrazione della ‘ndrangheta in Liguria, Piemonte e Lombardia: “questa espansione è avvenuta attraverso il canale del soggiorno obbligato e successivamente mediante strategie autonome, approfittando del ruolo cruciale della corruzione, che è stato il cavallo di Troia per i mafiosi nelle realtà del Nord”. La colonizzazione ‘ndranghetista nasce dai piccoli comuni nei quali erano presenti situazioni vantaggiose – dalle minori resistenze sociali alla facilità dei rapporti con le istituzioni – lasciando campo libero a questo “agente di trasformazione sociale dell’impresa mafiosa, basata non solo sul profitto ma anche sul potere e sul controllo del territorio”. “Oggi trovare relazioni sistematiche tra clan e politica è appurato – ha concluso dalla Chiesa – e il settore più allarmante, oltre a quello dei rifiuti, è la sanità”.
Il procuratore aggiunto del Tribunale di Palermo Antonio Ingroia ha parlato di “mafiosizzazione della società”, facendo riferimento al fatto che la mafia è avvertita sempre meno come corpo estraneo dalla nostra società, assimilandone addirittura alcuni modelli comportamentali: “o abbiamo la consapevolezza che il processo di mafiosizzazione del nostro paese è andato avanti o arriveremo oltre il limite di irreversibilità. Dobbiamo correre ai ripari soprattutto con una politica antimafia diversa, non di contenimento ma che abbia l’obiettivo di eliminare la mafia, che ha intrapreso un pericoloso processo strategico di mimetizzazione che la fa sembrare più ‘civile’, facendoci abbassare il livello di guardia”.
Anche l’economista milanese Marco Vitale ha sottolineato l’importanza di considerare unita la dicotomia mafia-corruzione nella lotta alla criminalità organizzata, rivolgendo un appello ad Assolombarda e all’Associazione Industriali di Torino: “la malattia è talmente diffusa, il pericolo è talmente alto, la penetrazione è talmente profonda che serve una reazione forte. Bisogna smetterla di scherzare e prendere provvedimenti seri per cui chi è colluso e fa impresa attraverso la corruzione venga espulso dalle associazioni di categoria, perché imbroglia e danneggia tutti”.
Anche il giornalista Gianni Barbacetto de “Il Fatto quotidiano” riconosce al mondo imprenditoriale, oggi più arretrato che a Palermo, le responsabilità della forte presenza mafiosa in Lombardia: “238 denunce per pizzo a Milano sono una spia fondamentale di quello che sta accadendo nella mia città, che continua a ritenersi indenne senza dare una reale rappresentazione del suo lato oscuro”. Barbacetto ha illustrato il paradosso di cui è vittima il mondo dell’informazione riguardo il fenomeno mafioso: “esiste una grande produzione di riflessioni, analisi e inchieste sulla mafia al Nord, ma tutta questa mole di notizie non si trasforma in capacità collettiva da parte della società di prendere coscienza e fare proprio il problema; lo si vede scorrere come fosse una fiction, arrivano singole notizie ma non creano mai quello scatto che diventa consapevolezza”. I due principali problemi di carattere politico da risolvere sono la preoccupazione di difendere il “buon nome” del Nord Italia e la paura dell’uso strumentale dell’antimafia per attaccare l’avversario politico, senza comprendere l’importanza di porre questa battaglia al di sopra degli schieramenti partitici.
Il professor Rocco Sciarrone dell’Università degli Studi di Torino ha precisato alcuni dei concetti emersi negli interventi precedenti: “C’è il vizio di dire: o la mafia non c’è o bisogna costruire l’immagine della piovra. Ma la mafia al Nord non è una piovra, sono organizzazioni italiane e straniere molto più complicate. Provo stupore davanti alla tendenza alla minimizzazione del fenomeno che ha espresso il sindaco di Genova Marta Vincenzi”. Sciarrone ha evidenziato la presenza di grossi deficit in molti ambiti della lotta alla criminalità organizzata, dall’università alle agenzie di contrasto, passando per il mondo politico-istituzionale che fa sentire isolato l’imprenditore che decide di denunciare questo problema: “L’aspetto cruciale è la costituzione, anche al Nord, di un’ampia e articolata zona grigia, la stessa che ha permesso la crescita del fenomeno nell’Italia meridionale”.
“Oggi paghiamo errori e disfunzioni di 30 anni fa, anche se allora i segnali erano chiari: sequestri, omicidi e arresti. È terribile ricordare che in Italia siamo stati capaci di reagire con fermezza solo dopo il sangue e il tritolo delle stragi del ’92-’93. A Milano tra il 1994 e il 1995 abbiamo arrestato più di 2500 mafiosi o amici di mafiosi, grazie all’appoggio dello Stato e dell’opinione pubblica: era un momento entusiasmante – ha raccontato il sostituto procuratore del Tribunale di Milano Alberto Nobili – si credeva che avessimo intrapreso la strada giusta e invece cambiò anche la strategia mafiosa, con la fine, o quasi, degli omicidi a Milano e la scelta mafiosa di un profilo basso e silenzioso”. È un errore pensare che senza stragi le mafie stiano sparendo, non deve sembrare che esista solo quello che si vede: “il contrasto alla mafia è un problema di tutti, non possiamo tollerare la diminuzione dei finanziamenti per la polizia e le forze dell’ordine e dobbiamo recuperare il gusto della legalità con una rivoluzione culturale”.
Anna Canepa, della Direzione Nazionale Antimafia, ha affermato che sebbene l’autorità giudiziaria arrivi sempre troppo tardi a contrastare un problema che è anche politico, economico e sociale, l’azione di contrasto alla criminalità organizzata della magistratura ha un bilancio positivo, in una realtà fatta di luci e ombre: “grandissimi risultati sono visibili non solo negli arresti, ma soprattutto nelle condanne, che sono il vero successo del lavoro dei magistrati”. Dopo aver sottolineato l’importanza dei reati-spia che segnalano la presenza mafiosa in un territorio e che il progetto del governo Berlusconi sulle intercettazioni renderebbe inutilizzabili, la dottoressa Canepa ha espresso la “necessità di un serio progetto e di una seria volontà politica, perché non si tratta di combattere un’emergenza e non si può affrontare la questione in ottica propagandistica quando servono invece risorse e mezzi adeguati. Servono atteggiamenti costruttivi che nascono dalla consapevolezza della gravità del problema e dell’importanza della memoria”.
A concludere la due giorni di lavori sono intervenuti il sindaco di Torino Piero Fassino, che si è preso l’impegno di proporre al consiglio comunale l’istituzione di uno strumento come la commissione comunale antimafia, e il sindaco di Milano Giuliano Pisapia: “Per quanto riguarda i lavori e gli appalti di EXPO 2015 abbiamo deciso di modificare le regole sui bandi di gara, eliminando la gare al massimo ribasso e monitorando le imprese che le vinceranno. A breve saranno istituiti una commissione di esperti composta fra gli altri da Nando dalla Chiesa, Giuliano Turone, Umberto Ambrosoli e Luca Beltrami Gadola e una commissione antimafia consiliare, che lavoreranno in parallelo e incrociando i propri risultati”. La volontà del primo cittadino meneghino è quella di intraprendere un grande lavoro di mobilitazione nelle scuole e nelle piazze, creare un gruppo di lavoro comune tra la forze dell’ordine, la magistratura, i sindacati, Assolombarda, Assoimpresa e il comune di Milano per essere uniti nelle denunce: “Bisogna imparare dalla Sicilia per ottenere un impegno reale, seguendo l’importanza della coesione e del gruppo d’insieme”.