di Giorgia Venturini

Trascorse i suoi ultimi giorni di vita in una buca di due metri per due prima di esser seppellita in una discarica. Tra carrozzine rotte e sacchi della spazzatura. Tra bambole usate e topi. Morì così Cristina Mazzotti, la diciottenne di Eupilio rapita il 30 giugno del 1975. Al Nord, sono gli anni dei sequestri di persona. Di bande criminali legate alla ‘ndrangheta in cerca di denaro facile. A caccia di figli, nipoti, parenti di noti industriali ed imprenditori a cui chiedere riscatto in cambio della vita dei propri cari. Così faceva i soldi la mafia. Senza pietà, senza vergogna. Le vittime erano per lo più minorenni. Adolescenti. Studenti. Insomma, vittime facili per denaro facile.

Proprio come Cristina, figlia di un broker nel settore dei cereali Helios Mazzotti, che quella sera del 30 giugno non pensava ad altro che a festeggiare la fine della scuola con i suoi amici. Rientrava da una festa. Alla guida c’era il fidadzato, sul sedile posteriore la migliore amica. La “serata” tipo di ogni diciottenne. Stavano percorrendo la strada che porta a Longone al Segrino quando la Mini su cui viaggiavano venne affiancata da una Fiat125. Accostarono. Dalla macchina scese un uomo armato. Cercava Cristina. La diciottenne non esitò. Per non mettere in pericolo gli amici non oppose resistenza.

L’Italia, gli occhi grandi e i lunghi capelli di Cristina, resi noti da quella foto in bianco e nero che fece il giro del Paese, non se li è mai più scordati.

Oggi la sua storia rivive nello spettacolo 5 centimetri d’aria, in scena ad Erba venerdì 30 giugno (qui la locandina), per la regia di Marco Rampoldi. L’assoluta originalità dello spettacolo è data dalla modalità del lavoro che l’ha generato. Il testo di Paola Ornati è, infatti, l’esito di un laboratorio di Scrittura per la Scena, tenuto dagli stessi Ornati e Rampoldi in collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano e rivolto agli studenti e ai dottori del Corso di Sociologia della Criminalità Organizzata, del professor Nando dalla Chiesa, all’Università degli Studi di Milano. In esso, confluiscono poi i contributi di memoria ed emozione dell’avvocato Carlo Smuraglia, avvocato di parte civile al processo che si tenne contro
i rapitori; del giudice Giuliano Turone, che seguì i primi casi di rapimento in Lombardia per opera della criminalità organizzata; della Fondazione Cristina Mazzotti, che raccoglie le piccole briciole di memoria rimaste di questa folle stagione della storia d’Italia e ne perpetua il ricordo.

In scena, voce sola e coro di quegli anni di paure, raccomandazioni e oblio, l’attrice Lucia Marinsalta.

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